“Siamo tutti pazzi”: non serve arrivare a Lacan, è da pazzi non ammetterlo se solo ci si confronta con la linearità comportamentale della generalità degli animali (non domestici, altrimenti il discorso si farebbe più lungo). Si tratta del mondo in cui c’è “rapporto” sessuale e non c’è morte.
E’ il fatto di avere sostituito all’estro il linguaggio, che ci fa deragliare dalla retta via degli istinti e dei bisogni per imboccare il sentiero tortuoso della pulsione e dei desideri.
Resta perciò il vecchio dubbio se sono gli animali a rappresentare meglio Dio per noi dal loro Reale o se siamo noi a rappresentare meglio Dio per l’animalità dal nostro Simbolico.
Un qualche rapporto fantasmatico con gli animali è eterno nell’Immaginario e appare nelle forme più varie, dall’animale totemico a quello mitologico, dal cane Argo dell’Odissea e dal leone di Androclo fino ai Bremer Stadtmusikanten e infine a Topolino: la proiezione inconscia è sempre al lavoro nello scambiare un animale per un essere umano, ma la gara nel volgerla a proprio favore, cioè a favore dell’Io immaginario, proiettivo, introiettivo e pertanto identitario, è vinta nella modernità da Walt Disney.
Una mia amica che parla in fresco dialetto triestino con il marito e le figlie, si rivolge al suo cagnolino in forbita lingua italiana.
Prima di avventurarsi nella vasta simbologia degli archetipi zoologici, Jung dice che l’animale nei sogni siamo noi bambini: è molto credibile, com’è credibile che lo fossimo in qualche senso fino a circa 50.000 anni fa come specie e fino a circa 14 mesi di vita extrauterina come individui…