54. SAPERE

È la Scienza la religione dei nostri tempi? Non ha essa il volto spersonalizzato di una rivelazione incolpevole adatta a soddisfare tutte le domande che, in cerca di assoluti, si appuntano sui grandi difetti del mondo. Ma anche sui piccoli, no?

 C’è una figura tipica distesa sul divano in molte sedute psicanalitiche intenta a formulare bellissime teorie filosofiche spiritualiste ma soprattutto a rimemorare bellissime teorie scientifiche atte a dare una risposta definitiva a ogni dubbio su tantissime cose che afferma gli facciano problema. Un po’ offesa resta muta se l’analista chiede: “Ma, scusi, davvero è questo il suo assillo?” Oppure: “bene, tutto risolto allora?”. Si può capire, magari nella seduta precedente è balenato tra i significanti l’assillo di una incipiente calvizie o di più intime trivialità che fanno vacillare il senso della vita. Basta poco.

 La Scienza non è ancora decisiva per soddisfare il bisogno di senso: imparentata con il discorso dell’Università, dipende ancora dal discorso del Padrone in cui si stabiliscono le compatibilità e le convenienze “civilizzanti”. Basti pensare a quanto i programmi di ricerca debbano rispondere ai centri di finanziamento e quanto i loro successi e insuccessi influenzino il “dow jones”. Certi lo ritengono del tutto sensato, ma è così per gli scienziati? Ai religiosi (e ai filosofi) è almeno risparmiato questo dilemma.

 Di sicuro la Scienza con la religione ha in comune il suo scopo primario, di imbrigliare nel senso l’angoscia per gli eventi non padroneggiabili che il futuro, il tempo “reale” del Reale, ci riserba, ma mostra la sua debolezza nei confronti della religione nella troppo palese revisione dei suoi statuti immaginari a fronte della potente sincronia di questa: esemplare è l’immobilismo della tradizione coranica. Ma furono due filosofi, Spinoza e Cartesio, a immaginare l’avvicinamento di scienza e religione che pare essersi realizzato paradossalmente come mutuo accordo di pacifica in-compatibilità .

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