56. SENSO DI SE’

La coscienza, quell’affare importantissimo che nella metafora freudiana è la parte emersa dell’iceberg nel mare della realtà, è ciò cui qualcuno, se ha sentito parlare di Freud, oppone la preponderante e irrilevata parte immersa chiamandola inconscio o subconscio, mentre chi non sa di Freud potrebbe chiamarla soma (opponendola allora a psiche, ma sbaglierebbe comunque, si tratterebbe sempre di dritto e rovescio anche se un iceberg non si può rovesciare). In quanto riflessiva risulta essere per lo più coscienza infelice, se non altro, ma è proprio questo il punto, per essere così allertata ed esiliata in un sogno, quello dell’Io, che non è il suo sogno. A rischio di diventare un incubo.

 Chi sogna è il soggetto che eccede la parte emersa, inconsapevole di essere una forma eccezionale della stessa acqua in cui galleggia; di sicuro più effetto che causa di qualcosa, se si vuole essere realisti ovvero ammettere che causali sono i significanti, consci o inconsci che siano. Il filosofo, voglia o non voglia, inevitabilmente metafisico, dovrebbe comunque guardarsi, stando alla metafora, dall’identificare sia il mare sia la parte immersa dell’iceberg con il Reale in sé: la metafora deve restare psicologica.

 L’aforisma di Lacan “Io sono là dove non penso e penso là dove non sono” funziona bene anche se si sostituisce “godo” a “penso”. Ha detto anche: “Il soggetto è sempre felice”. È logico, no? Altrimenti, perché un soggetto ripeterebbe sempre le stesse cose, buone per lui o cattive che siano? È il paradosso del masochismo che si fonda su quanto la soggettività deve all’inconscio e al godimento del sintomo, in altre parole al trauma, irrisolto conflitto primordiale di Reale e Simbolico, natura e cultura o, restando a Freud, di Es e Super-Io.

Un trauma può annichilire il soggetto, non abrogarlo in quel   Reale che per Lacan è sapere inconscio e godimento somatico. Beh, siamo ottimisti, il soggetto è felice anche nel suo essere di desiderio sempre rinascente. Tutti sogniamo, nell’accezione più larga, ad occhi chiusi o aperti. Anche gli animali, ma mai e poi mai sogni masochisti: “l’anatra sogna il mais”, dice Freud.

 Il sogno è pensiero, non ha minore dignità del pensiero nella veglia, radicato e coinvolto com’è nell’Immaginario e nel Simbolico, tanto che Lacan si spinge ad affermare che “da un sogno ci si sveglia per continuare a sognare”. È pensiero che si svolge tra metafore e metonimie sull’asse della significazione delle parole, detto in linguistica l’asse del paradigma, ma inverte il rapporto tra le immagini e le parole (o i significanti, in gergo, anche se non è esattamente lo stesso, dato il paradosso per cui ogni cosa che ha un senso è un significante, ma solo il significante ha senso…), cioè inverte quell’ordine nel procedimento del pensare che è la sintassi, l’altro asse della significazione come atto linguistico. Ma, in buona sostanza lacaniana, cos’è il pensiero, al livello del senso, se non preoccupazione riguardo i godimenti? Il soggetto sa significanti e significati di prossimità, l’inconscio sa quelli lontani.

 Nella veglia “pensiamo contro un significante”, dice Lacan, mettiamo cioè alla prova immagini intuitive coinvolte nella fantasia su cui l’inconscio, noi malgrado, vanta i suoi diritti, facendole reagire con parole, (anche senza pronunciarle), mentre nel sogno facciamo l’opposto, pensiamo contro le immagini mettendo alla prova parole o frasi che l’inconscio vorrebbe portare alla ribalta della coscienza facendole reagire con delle immagini. È lo stesso procedimento di chi disegna un rebus, ci ha detto Freud: l’inconscio ne è l’autore crittografo che pensa una frase e ne nasconde il senso dietro le immagini, l’eventuale soggetto dell’”elaborazione secondaria” è l’enigmista che vuole ritrovare la frase. Ma in psicanalisi il senso, non i significati.

 Cosa cerchiamo nella veglia e nel sogno, rispettivamente nelle dinamiche mentali in cui si combinano le parole in rappresentanza di immagini e nelle dinamiche in cui si combinano e si trasformano le immagini in rappresentanza di parole? La risposta non può essere che il senso delle cose, ma per Lacan non si tratta più di dirigersi verso la verità, com’era nella tradizione, quanto invece di dirigersi verso il “godimento giusto”, un ossimoro cui presiede il desiderio inconscio all’incrocio di Simbolico e Reale.

 Fior di psicanalisti, glissando sulla “via regia” sono caduti nell’errore di credere che il contenuto del sogno sia l’inconscio, mentre i sogni ne sono un effetto come tanti altri e fanno solo cenno a un intervento dell’inconscio nella nostra vita intessuta di desiderio, Legge e godimento: alla pari di un tic, un lapsus, una dimenticanza, una svista, una improvvisa malinconia, uno scoppio di ilarità. Precarietà della “rimozione”. Se Freud ribadisce negli anni che nei sogni si esprimono i desideri, si tratta più del loro rovescio sintomatico, la loro smentita veritativa che in fondo li sorregge nel Reale; il che spiegherebbe anche perché è così raro che in un sogno si faccia gran bella figura o perché è impossibile trasformare a bella posta una fantasia autogratificante in un sogno. Il sogno piuttosto fa il punto sul nostro presente smentendone, con tutta la portata del desiderio inconscio “eccentrico, erratico e scandaloso” quel senso che l’Io difende come sua creatura.

 Ma perché l’inconscio si manifesta così episodicamente e intervenendo apparentemente su un nonnulla aprendo i buchi di memoria del “plot” di ogni sogno?  L’inconscio nascosto in quei buchi (o punti vuoti di senso ma nei quali la sua attività è tutt’altro che esclusa…) è Arlecchino che deve servire due padroni, per forza sarà reticente: secondo Freud deve servire la memoria e la coscienza nella “prima topica”, l’Es e l’Io sotto l’egida del Super-io nella “seconda topica”, successiva di ventidue anni. Secondo Lacan invece l’inconscio deve servire l’”oggetto piccolo (a)” non simbolizzato, supplenza immaginaria della Cosa del godimento, e l’Altro: fuori della metafora goldoniana, l’inconscio appare pulsatorio per essere relazionato con la libido che è un’espressione somatica, del corpo come organizzazione di pulsazioni scritte dal Reale a lato della Cosa indefinita; organizzazione che, a scanso di psicosi, non ci sarebbe senza l’intervento enigmatico dell’Altro simbolico.

 Tornando alla metafora freudiana d’inizio, l’inconscio non consiste nella parte sommersa dell’iceberg, ma rappresenta solo (solo!?) la differenza di peso tra il ghiaccio e l’acqua del mare.

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