Dove c’è sostanza vivente, c’è godimento. “substance jouissante”, dice Lacan con una locuzione già presente nei manuali alchemici rinascimentali.
La sostanza gode finché dura la forma, felicemente coniugata, sia pure con alti e bassi, nel bene e nel male, al Reale: cioè, per noi, al Tempo degli eventi. Per quel poco di aristotelismo che è in tutti noi, l’inscindibilità della forma dalla sostanza ci appare come continuità della vita. Tra alti e bassi? In noi soggetti la sostanza parla e il godimento fluisce nel discorso, così che il nostro tempo sostanziale, corporeo e continuo, ci appaia progredire tra punti dislocati e di misura discreta come sempre appare il tempo, in questo caso fatto di significanti, in altri casi organicamente pulsatorio e ciclico. Anche la natura sembra esserlo, il che ha fatto giustamente immaginare qualche omologia tra noi e il mondo, una physis che possa esprimersi per esempio nel segmento aureo, nelle costanti delle equazioni meccaniche, elettriche e termodinamiche, o nelle tante orbite, da quelle di Keplero a quelle di Rutherford.
Tutto il nostro sapere, tutto quello che non sappiamo ancora, tutto quello che non sappiamo di sapere, non corrisponderebbe al nostro Umwelt essenzialmente culturale, tanto che difficilmente possiamo immaginare e identificare in esso oggetti che esistano come non-significati? Al barone Uesküll, inventore del concetto di Umwelt, questa peculiarità umana non era affatto sfuggita, ma lasciò a Lacan, si fa per dire, non a Heidegger, l’invenzione dell’oggetto piccolo (a).
Allora, quella jouissance che sembra inficiare l’essenza ambientale “monadica” di ogni ente vivente (e farci immaginare un Innenwelt, un interno che coincida con il nostro corpo e il nostro Io…) non potrebbe essere effetto del Tempo, ovvero degli eventi nel Reale, da poter immaginare come meta-ambiente di tutti gli ambienti?