Un Dio teologicamente residuale altro non può essere che ciò cui si rivolge il grido del neonato che segnala per la partoriente solo la decisione di vivere, decisione istantanea, autocratica e slegata da qualsiasi significazione, anche minima, intorno a benessere e malessere. De-cisione, taglio in cui non c’è ancora la morte come distruzione alternativa della Cosa. Il grido significa la vita in sé e per sé, e non solo per un bambino, ma è un segno su cui il bambino sembrerà voler ritornare già con i primi vagiti destinati a prendere la forma di un appello autentico, con tutta la retroattività lacaniana (post-saussuriana) del significante S1 che trae senso solo da S2. Il vagito può essere in cerca di amore o in cerca di pace, e non è lo stesso, tutt’altro. La madre che si sveglia accanto al neonato e lo ausculta per essere sicura che respiri, cosa più frequente di quanto si creda, si fa interprete della pulsione di morte freudiana nell’impossibilità di un trauma necessario e universale che rimanga un segno di necessità e universalità. Pertanto insignificante, vogliamo dirlo non solo a Rank ma anche a tutti i cercatori dell’Assoluto o del Primum irrelativo?
Diverso è il trauma edipico individuato da Freud come posteriore per osservabilità ai traumi adattivi dei piccoli umani non diversi da quelli che i cuccioli primati devono attraversare dal momento della nascita e anche prima, nell’amnios. Salvo qualche sospetto (in base ad indizi troppo vaghi per soffermarcisi) intorno ad ipotesi di neotenia umana.
Se volessimo disfarci dei miti freudiani per rendere ragione del processo di civilizzazione culturale del bambino, non potremmo negare il suo strutturarsi con il linguaggio per una decisiva maggiore importanza di forme simboliche rispetto patterns istintuali e dovremmo comunque ricorrere ad ipotesi per individuare il fattore che determini un così peculiare sacrificio di naturalità evolutiva in favore di straordinarie etiche socioculturali. In assenza di altre ipotesi, per titolare questo sacrificio, la Chiesa ha fatto ricorso alla metafora del “peccato originale”. Di Eva, no?