Sarebbe bene guardarsi dal reputare colto l’erudito, il giornalista tuttologo, l’attaché tuttofare del padrone, il professore (il prete, per etimologia l’”anziano”, nella cerchia del sapere), in quanto tale dal potente carisma: si renderebbe omaggio solo al senso debole della parola cultura, quando il suo senso forte la avvicina al termine che troviamo nella lingua tedesca come più assonante, Kultur. Si tratta della struttura su cui poggia una civilizzazione e che giustifica i legami sociali mentre ne è giustificata, struttura in cui si dibatte il soggetto che raramente si contenta della sua propria posizione in essa relativa e vorrebbe almeno sapere che senso abbia, affinché sia sopportabile.
La cultura è una architettura di significati intorno a noi stessi ma possiamo abitarne solo i significanti così come possiamo abitare una casa, non il suo pavimento, pareti e soffitto. Sotto questo riguardo, dell’abitare senza precisa e completa contezza di ciò che si abita, si è quasi sempre scontenti, ma qualche volta bisogna sapersi accontentare, rimboccarsi le maniche per rendere sicuro prima che confortevole il riparo e tentare di capire un minimo di statica antisismica, per l’esempio in metafora. Situarsi tra necessità e contingenza per abitare un senso della vita sottratto alla complessità quel tanto che basta. Tagliare corto.
Una delle persone più colte che ho conosciuto era un fabbro anarchico dalla vita avventurosa, nato allo scadere del secolo XIX. Il suo nome era Umberto Tommasini.
Scolarizzazione elementare, ma organizzatore di una biblioteca popolare nel villaggio natale spopolato dall’emigrazione; confinato in quanto antifascista, emigrato clandestino in Francia, combattente nelle Brigate Internazionali in Spagna nella guerra civile.
Egli mostrava di essere in grado di situarsi autonomamente in un rapporto abbastanza stabile con il mondo e gli eventi, di avere una chiara visione e consapevolezza della sua posizione nella Storia come storia della prevaricazione, sia per quanto egli potesse agirvi con discorsi e comportamenti di lotta sia per quanto ne subisse: si poneva, questo è fondamentale, come testimone attivo, più divertito che lamentoso nell’affrontare le difficoltà derivanti dalle sue scelte, attento ad inserirle nel contesto di un senso e di un giudizio prospettico, relativo in tutto eccetto che nell’etica sua propria.
Si relazionava dando per scontato il condizionamento politico suo e dell’interlocutore senza estraniarsi: stando a cortesia e non ad ipocrisia, appariva pacifico come pochi e tuttavia pronto alla lotta inevitabile per affermare il suo desiderio costituitosi come idea sociale in lotta con la realtà del potere. Disposto a pagarne il prezzo in delusioni inevitabili nel lavoro politico e sociale.
Se ne trae un’autentica definizione di cultura come attitudine a giudicare il proprio rapporto con l’Altro nel mondo e a riconoscere in tale rapporto, per quanto possibile, qualche provvisoria verità che possa consolare l’azione (la quale, si sa, raramente produce qualche bene, tanto che solo chi non fa non falla). Saperla situare, per quanto possibile, storicamente. Sapersi situare. Vi risuona forse l’oracolo delfico e apollineo? Certamente, ma conoscere sé stessi, che è pretendere troppo, andrebbe tradotto come interrogarsi in quanto soggetti storici per saggiare le possibilità di far vivere il proprio desiderio tra gli altri, senza imporlo ma anche escludendo ogni trastullo solipsistico.
Tommasini non mancava di proporre il suo discorso non appena percepiva una beanza, faglia, fenditura, nel discorso altrui, qualunque fosse. Era del tutto assente in quel bel carattere l’antagonismo anarco-individualista che si compiace di retorica stirneriana e assomiglia spesso allo scontento rabbioso ed inane del piccolo borghese, fondato su invidia sociale e odio, pronto ad aggregarsi acriticamente al primo capopopolo forcaiolo che salga sul palcoscenico. Un ignorante.
La cultura dovrebbe mirare a condivisione se non altro come antidoto per la delirante dialettica moderna dell’individuo a fronte del mondo intero; e a con-divisione nel confronto se non altro come antidoto al conformismo.