74. SEMPLICI PASSIONI

 Nella dialettica affettiva dell’Io e del Tu vige la logica dell’identificazione speculare che ha trasferito nell’adulto le primitive reazioni oggettive di rifiuto e incorporazione infantili non più come reazioni ma come relazioni affettive nelle modalità della proiezione e dell’introiezione. Per distinguere i due meccanismi c’è una semplice “cartina di tornasole”: se nel prossimo notiamo qualità odiose stiamo verosimilmente proiettando, se notiamo tratti di amabilità stiamo probabilmente introiettando. Per queste vie si passa anche facilmente dall’Io e il Tu al tremendo Noi e Loro.

 I difetti che notiamo come più fastidiosi negli altri sono molto spesso quelle idiosincrasie che, pur presenti in noi stessi, non vogliamo riconoscere.

 D’altra parte, le virtù altrui sono quelle che non abbiamo e vorremmo, se non averle, che almeno ci fossero riconosciute; naturalmente senza barattare le nostre prerogative più intime, egoiche. Perfino il sentimento di ammirazione si distanzia di rado da fantasie di emulazione.

 Il meccanismo inconscio della proiezione spiega anche il fatto curioso che in noi scatta più veemente la rabbia, in caso di conflitto, quando inconsciamente dubitiamo di poter avere torto che quando siamo veramente certi di aver ragione. Infatti la risposta dell’antagonista elettivo talvolta non va in crescendo, è più pacata, indovinando proprio quell’implicita piccola ammissione di colpevolezza.

 Il meccanismo inconscio dell’introiezione spiega invece la logica dell’innamoramento, il voler essere almeno parzialmente l’altro, ma anche che l’erotismo non può essere del tutto eterosessuale né del tutto omosessuale. Nell’identificazione erotica la figura fantasmatica dell’Altro è inevitabilmente quella della Donna (che non esiste), per l’uomo e per la donna, etero e omosessuali, per Achille e per Lesbo. Figli e figlie di mamma siamo.

 Spiega anche la ritrosia dell’amato (l’eromene platonico) che intravede nel candidato amante (l’erasto) l’intenzione di rapinare l’agalma, lo splendore dell’anima, una cosa che, oltretutto, non esiste per essere usata né per essere scambiata.

 Il senso dell’innamoramento e del transfert psicanalitico è lo stesso, un errore di prospettiva nella supposizione che esista presso l’Altro questa specie di Graal, l’oggetto che manca affinché si possa completare il mondo in qualche peregrina sapienza che dopotutto coinciderebbe con il sapere le vie del nostro godimento.

 Una supposizione che, per chi si trova a esserne l’oggetto, si traduce nell’essere ridotto o innalzato ad una identità inesistente, il che genera di solito un certo fastidio e una ripulsa: “Cosa vuole da me? E, qualunque cosa sia, ammesso che ce l’abbia, intende pagarla o la vuole gratis?”. Tra tanti effetti che può avere una psicanalisi non dovrebbe mancare il superamento a un certo grado di questa universale fobia. Magnifica è stata la risposta del medico all’ipocondriaco che si lagnava di un sintomo clinicamente irrilevante, una lombalgia come difetto del suo mondo altrimenti presumibilmente perfetto: “Sapesse me!…”.

 Ma tale superamento sarà ben più importante e radicale per lo psicanalista, cui spetta di interpretare il transfert tenendo conto di una possibilità sempre latente, l’emergenza del controtransfert in cui può esprimersi il disappunto di essere preso pervicacemente per un altro invece che per l’Altro.

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