L’antisemitismo è sempre stato un legame sociale, cioè quell’affare che può unire al livello dell’immaginario e del discorso le elites di quelli che possono e sanno, magari per interposta persona, con il popolume di quelli che non possono e non sanno. E’ il vecchio ma sempreverde nemico collettivo, categoria amata non solo da mestatori politici ma anche da fini statisti in ordine allo schiarimento di situazioni complesse. All’altare del capro espiatorio, rovescio del Grande altro, gli opposti si uniscono: in mezzo restano gli intermedi, gli altri, stretti nella tenaglia dell’immaginario collettivo. Restano fuori talvolta quelli che sanno ma non possono, gli intellettuali. Dal Medioevo all’epoca moderna in Europa l’antisemitismo funzionò come tale perverso legame sociale, ma non ci furono che sporadiche eccezioni tra gli intellettuali “gentili”: Voltaire, incredibile, fu antisemita. In epoca più moderna persino il borghese gentiluomo tedesco, l’”unpolitischer” Thomas Mann, ideologizzò, seppur blandamente e salvo pentirsene, una sua ritrosia di fronte all’Ebreo.
Si sa che l’antisemitismo è un banale sintomo proiettivo paranoide, per farla breve si può sintetizzare con il termine tedesco Lebensneid, invidia di vita, in lacanese di godimento. Ma meno banale è il suo lato fascinatorio presente anche in chi non è molto paranoico e la facilità con cui la “ragion di stato” riesce a farne uso.
Il sorgere del nemico comune nella coscienza segna un momento di riposo per l’etica, l’abdicazione del soggetto da responsabilità sociali riferite al nostro “prossimo”. A sua volta, l’identificazione di un prossimo è iscritta con tutte le sue limitazioni nel libro del “Grande altro”, cioè nella “cultura” reificata in ogni aspetto immaginario e simbolico in quanto storicizzata per quel tempo e per quel luogo.
(Per capirci, l’Altro lacaniano tout court implica solo il Simbolico e non attiene all’Immaginario: l’aggettivo “grande” è posto talvolta da Lacan come distinzione che non dovrebbe intaccare la radicalità sincronica del rapporto Altro/soggetto: abusando dell’aggettivo si inquinerebbe l’Altro con un suo Altro, l’orchestratore dei sembianti, l’utile alter del Padrone, lo Zeitgeist in suo favore, Diritto compreso…)
Stabiliti che siano i ruoli vicendevoli di servi e padroni, sarà stabilita anche una correzione e una dissimmetria nella identificazione, cioè nel poter continuare a immaginare di essere, ad un certo grado e a certe condizioni, l’altro incontrato all’epoca della prima alienazione immaginaria speculare, attorno ad un anno d’età. L’oggettivamente simile non evolve automaticamente per essere riconosciuto come un soggetto “prossimo”, può scivolare nell’estraneità giuridica.
Questo può non contraddire un’idea generica di moralità, mentre per Lacan l’etica, che consiste nel non cedere sul proprio desiderio (inconscio), non venir meno alla sua istanza eccentrica (eccentrica anche rispetto la provvisorietà dell’identificazione del soggetto con il proprio desiderio conscio), non consente di abdicare dalla responsabilità verso l’Altro contingente, l’altro discorso possibile che si affaccia dall’inconscio e che però è anche altro della società. Responsabilità verso un prossimo ritrovabile in noi, senza garanzie e senza alcun prontuario di certezze scritto in accordo con qualche diritto positivo. Credo che nessuno ormai pensi che esista, in opposizione al diritto positivo, principio d’ordine padronale, ciò che veniva chiamato “diritto naturale” dagli antichi filosofi e da qualche giusnaturalista, né che dia credito fuori di metafora al contratto sociale immaginato da Rousseau, per cui ci si può chiedere come mai una legge e un comandamento sia sempre la proibizione di un desiderio e come mai le leggi cui ci è chiesto di conformarci sono fatte apposta, specie quelle di guerra, per tenere a bada proprio l’invenzione etica in cui il desiderio si manifesta.
Qui sta la sottile differenza tra due parole reputate per lo più sinonimi radicati in due diverse lingue antiche, il greco di etica e il latino di morale: la moralità è l’etica che desideriamo negli altri, scrivibile e necessaria, mentre di etica si è chiamati a dar prova nella contingenza e in quel po’ di incertezza sui risultati cui nessuna prassi umana può sottrarsi. Non c’è libertà etica senza sospensione del sapere in favore del brivido che si ritrova in un po’ di aleatorietà e arbitrarietà. Invece un moralismo che si nutra di memoria storica immaginaria e di solito suggerita, compressa in articoli di legge, si costituirebbe come ideologia adatta per i momenti regressivi ciclici connaturati nella Storia, per esempio per i rigurgiti di antisemitismo. Il conformista è moralista, non etico, predilige ciò che “non cessa di scriversi”, mentre il soggetto etico si attende semmai che qualcosa “cessi di non scriversi”.
Ma anche per quanto riguarda le trasformazioni di formato in seno al Grande altro, le cosiddette rivoluzioni, si potrebbe pensare che i momenti “vichiani” in cui nella Storia si ripresentano discorsi e situazioni di altre epoche non possano prescindere dalla presenza di un diffuso conformismo morale in una prima fase del cosiddetto “ricorso”: è l’opposto della attesa di cambiamento e di quella diffusa disponibilità al rischio di nuovi eventi che era stato il clima in cui si erano attuati i discorsi di rottura e le situazioni critiche di prima edizione. Ecco perché il “Sessantotto” può essere detto parodia del ’48 come questo fu detto parodia del 1789.
Talvolta una stasi posticcia dei “valori”, la pigra difesa di alcuni valori scelti accuratamente tra quelli usciti da cambiamenti epocali, rivoluzionari, produce cose peggiori di una presa d’atto della loro crisi irrimediabile.
C’è da chiedersi cosa nei secoli l’antisemitismo abbia voluto salvare, di cosa è stato il rovescio. Forse si tratta del difetto su cui sempre si appoggia la norma. Ciò che deve restare escluso perché possa reggere il senso di una categoria che prende il nome di un pronome: “noi”.
Il popolo talvolta impazzisce, le Crociate, il Terrore, le cacce alle streghe, la Shoah, sono esempi tra tanti. Talvolta solo regredisce, e allora il conformismo e la disattenzione attendista o messianica sono il clima favorevole alla ri-crescita di funghi velenosi. Prendiamo il Fascismo, come si è potuta verificare una controrivoluzione prima che una rivoluzione avvenisse?