L’Eroe è non-dialettico, staccando risolutamente l’etica dalla dialettica (in favore dell’estetica…), è lo schiavo dell’Altro per essere altro che lo schiavo di un altro. Nella mitologia talvolta è schiavo di una donna “fuorilegge”, eccezione del Nome del Padre. In tutti i casi nell’atto eroico esprime una volontà strenua perché cieca, per nulla interessata a valutarne le conseguenze, non conosce il tempo verbale del futuro anteriore.
L’eroe che oggi possiamo recuperare dall’antichità come più credibile non è tanto Leonida quanto Spartaco. Il suo carisma sta nell’autonomia del suo desiderio ribelle al fato, agli Dei e all’autorità in un mondo etero-diretto. È sostanzialmente prometeico, ma con meno hybris del titano infelice.
L’eroe più credibile nella modernità, che invece è più auto-diretta, in cui il Grande altro, il “discorso del capitalista”, risulta introiettato tanto che la coscienza morale (il Super-io paterno) è sostituita dalla ragione economica al di là anche del suo senso, è forse l’”operator” dei romanzi di Dashiell Hammet, che si autorizza da sé anche trasgredendo le leggi, ma non per suo conto, per conto del “Vecchio”, il direttore senza volto dell’”Agenzia”. Non tanto un padrone quanto a sua volta un burocratico e asettico servo del bene, del male e della verità del momento, poco propenso a dilemmi interiori trovandosi già nei territori post dialettici del pensiero (si fa per dire) unico. L’eroe moderno ha fatta sua la filosofia di Kant e Nietzsche che, sia pure in maniera diversa, inaugurano la possibilità moderna di una vita senza alternative di senso.
In tutti i casi, nell”operator” che dorme due ore a notte, si fa la doccia, un drink, e via subito, notte o giorno, a prendere a schiaffoni la realtà, la foga eroica rimanda alla barzelletta art-deco della risposta di Ettore Bugatti al cliente che si lagnava della debolezza dell’impianto di frenata nell’auto che aveva acquistata: “Ma una bugatti è fatta per correre, non per frenare…!”.