Se si volesse imboccare l’impervio sentiero che porterebbe all’amore non solo romantico, cioè al riconoscimento del soggetto come passaggio dall’Altro a un altro o un’altra, bisogna accettare che solo un eterno fraintendimento può costituirsi come fra-intendimento, unico possibile rapporto di conoscenza reciproca di là del rispecchiamento. Se questo riconoscimento è, come è, l’unica approssimazione possibile al mitico “vero amore”, può esserlo solo come amour de Lalangue. E’ questo il genere di amore che, secondo Lacan, sarà sempre corrisposto nella sua espressione che travalica il muro dell’”a-mur”. Un suo carattere non da poco è che travalica anche distinzioni di sesso e di genere. Un esempio? L’amore di tutta la vita, strano perché straordinario, di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir.
Ciò che ci accomuna come esseri umani è il fatto di essere ognuno una monade solitaria e irriducibile nella particolarità del nostro sintomo, ma non senza un sentimento di compassione per l’ineluttabilità della solitudine cui l’inconscio ci consegna tutti e ciascuno, checché ne dica Jung. Un partner è l’occasione di esercitare tale compassione nell’unica maniera degna e credibile: nel dialogo. Non è escluso che vi si realizzi il significato del termine greco agape tradotto nel latino ecclesiastico charitas: “dono d’amore accomunante e disinteressato”. Il titolo dannunziano “Solus ad solam” andrebbe corretto in solus et sola. L’amore romantico vive invece in un intervallo tra il Kitsch e la tragedia nutrendosi di immaginario. Prima che Lacan è stato Freud a spiegare perché non può esistere per logica un innamoramento corrisposto. Chi è oggetto d’amore può sentirsi lusingato ma si secca di essere fatto oggetto.
Le coppie più stabili nel tempo sono quelle in cui il litigio è frequente e disperde nella ripetizione il conflitto latente del primo approccio erotico, cioè del desiderio impossibile di essere l’altro, oppure e viceversa quelle coppie in cui l’amore, inteso come presupposto necessario, è fuori questione, giacché è stato estromesso in favore dell’intesa nella courtesy. Il matrimonio borghese un tempo era garantito nel tempo dall’amante. E’ raro, ma, tra alti e bassi, oggi si rivela solido nel tempo, cioè nel Reale, solo il rapporto d’amore che, sottratto per quanto possibile all’Immaginario, si regga sul dialogo al limite dello scontro dialettico, del Polemos, pure senza pregiudizio per un confronto e forse un’intesa “a letto”, come si dice, in quel momento pratico (e drammatico, lo si voglia o meno!) dell’eros che vale ben più del logos per “conoscere” a livello di immaginazione regressiva ciò che del Reale si può conoscere: conoscenza carnale, si dice, l’evento di un incontro, non un sapere dopo tante parole, piuttosto prima di esse.
Noi moderni occidentali ci meravigliamo per come sembrano funzionare benissimo certi matrimoni combinati in culture arretrate e troviamo mille cose da eccepire per sottrarci al monito o alla buona novella che ne potrebbe venire quando non appaiano del tutto succubi di imposizioni religiose: essere, cioè, il matrimonio un’occasione sperimentale, una sfida per l’amore che potrà attraversare le sue sfaccettature tra eros, philia e agape.
È proprio la psicanalisi a superare il carattere di contingenza che tradizionalmente si attribuisce all’incontro amoroso, incontro che avviene per caso, così che si possa rimpiangere talvolta di non aver incontrato prima la persona “giusta”. Lo supera in due diverse dimensioni: nell’innamoramento del transfert che, per così dire, scatta automaticamente non appena si appresenti un “soggetto supposto sapere” (qualcosa sul godimento, specificamente nostro…) e nell’esito in cui tale inganno dovrebbe sciogliersi come paradigma di ogni amore, la com-passione della mancanza.
Nel primo caso notiamo che non vige affatto l’immagine bella, nel secondo caso che non vige alcun automatismo, piuttosto una augurabilità etica e un’occasionalità che però si presenta comunque, basta, se si vuole, saperla cogliere: un matrimonio resta un’occasione per dar prova di saper esercitare l’arte d’amare non senza l’opzione di una separazione, arte perciò diversa da quella dello scambio romantico e narcisista, da quella porno soft cantata da Ovidio, ma anche da quella un po’ utopistica cantata da Fromm.