La filosofia occidentale nata in Ellade ha avuto il merito di liberare il pensiero per sempre nel suo complesso, ma ha avuto il demerito di inventare uno spazio immaginario e ponderale in cui l’Io, un quasi nulla, si può porre al cospetto dell’universo mondo con lo stesso peso su una bilancia dialettica o valoriale.
È l’astrazione più spropositata, quella di un effetto che trovi da ridire sulla sua causa. La “bottiglia di Klein” è la topologia che può illustrare anche la più comune follia, quella di porsi come Altro di un Altro che oscilli tra essere e non essere il corpo. Perché no, magari con il Reale fatto Altro, come vuole il positivista… O anche un delirio più raffinato, pseudo-lacaniano, quello di porsi come Altro del Reale per un cognitivismo al guado tra l’ontologia, aut utilitarista aut metafisica, e il sapere per il sapere, inevitabilmente fallico.
Dobbiamo ammettere che l’insegnamento di Lacan si presta a questo malinteso appena lo si innalzi, malgré lui, dal piano della tecnica psicanalitica al piano della filosofia. Fatalmente, di conseguenza, una certa ambiguità dei concetti tra ontologia e gnoseologia si può incontrare nella dottrina degli epigoni, a cominciare da quella magnificamente esegetica di Miller per arrivare a quella dichiaratamente filosofica di Badiou,
Ma Lacan non è la “madre che risponde” (anche per il padre filosofo…), sa che il senso-non-senso della vita rimarrà il nostro rovello complementare al godimento nell’eterna domanda inevasa in cui il linguaggio ha origine e di cui l’Uno è solo un resto filosofico, se vogliamo, della Cosa (freudiana). Possiamo escludere con Lacan che l’Altro lacaniano esista, ma non possiamo dire che non sia, così come possiamo dubitare cartesianamente di esistere come significato ma non di essere come significanti, parlessere che procede dall’Uno (in meno). In ciò è quell’autocoscienza che ci rende diversi dagli animali, possibile solo se un soggetto è in sé diviso, non univoco, con un “Io” fatto esistere come un significato tra altri significati.