La vocazione concreta della Sinistra in politica, cioè il suo destino e la sua essenza relativa di significante, il suo senso di là del significato, è di dover rimanere confinata nell’opposizione. Può non piacere, può indurre un senso di inutilità nel propendere per quella posizione politica, però solo pensare di poter prendere il potere già farebbe vacillare una posizione di sinistra.
Questa verità difficilmente può essere riconosciuta, talora appare detta implicitamente e velata in negativo, come quando nel vecchio P.C.I. si predicava: “Nessun competitore alla nostra sinistra!”, oppure realizzarsi a priori nelle ricorrenti scissioni dei raggruppamenti politici di sinistra, ma appare del tutto evidente ogniqualvolta un partito di sinistra conquista il potere ed immediatamente scatta la svogliatezza orwelliana a re-distribuire lo stesso potere e la tendenza a segregarlo nella “nomenclatura”. Non è detto che automaticamente ci si ritrovi su un versante politico di destra e che per contrappunto si apra un novello discorso di sinistra, si crea invece quel malessere che Emilio Vedova dipinge con molto nero e poco rosso nei “cicli della protesta” e degli scontri.
Chi sceglie di posizionarsi politicamente a sinistra sublima forse un inconcludente antagonismo nevrotico che trova tuttavia la sua bella dignità nella Storia ogni volta che alcuni valori che ruotano attorno a giustizia e libertà sembrano credibili: una ripetizione buona, ma più per la cocciutaggine di quei valori ad insistere passando per noi tutti insieme con il concetto recente di “Essere Umano” che per il sintomo d’origine.
Non sono mai mancati esempi di governanti e soprattutto di consiglieri di governanti, giusti, caritatevoli e liberali: entrano nella categoria del progressismo che introietta i valori dell’opposizione che da due secoli chiamiamo di sinistra, ma il problema è l’utopia egalitaria: essa non va oltre la parodia, nel sociale, del legame tra l’ossessione e l’isteria, laddove ha funzionato la seduzione reciproca nel suo aspetto sintomatico e improduttivo a medio termine e non in grado di determinare qualche onda lunga nella Storia.
Tra chi vuole l’impossibile, l’ossessivo, e chi dice no al possibile, l’isterico.
Di qua della politica, nel privato, il legame nevrotico di ossessione e isteria che spesso è la ragione o il residuo di un innamoramento, può diventare il gioco al massacro o la commedia sadomasochista che si attiva in certi legami di coppia, senza che ci si riferisca ai nostri generici giochi tra le lenzuola che, anzi, possono costituirne il vaccino che manca nell’ambito pubblico. A meno che, a livello di metafora, non si possa vedere nella fascinazione dello scontro politico violento, uno sfogo erotico, sempre tangente l’autodistruttività.
Tornando allora nel pubblico, l’utopia è travalicata dall’azione terroristica e da tutte le caratteropatie che inquinano la politica, esibendo (nel senso della perversione) prima o poi l’atteggiamento non necessariamente nevrotico, per quanto alternativo, di un Padrone hegeliano. Un esempio letterario, tra numerosissimi altri a partire da “I Demoni” di Dostoevskij, è il personaggio di Strel’nikov nel romanzo “Il dottor Zivago”. Ma, a dimostrazione che la realtà supera la fantasia, l’esempio migliore, dopo un secolo da Sergej Nechaiev, è il mio cetaneo Ted Kaczynski Unabomber, con la sua strana etica che avrebbe intrigato Lacan se avesse conosciuto il caso su cui sono state scritte molte sciocchezze.
L’utopia però è una faccenda che fa meno meraviglia se si ammette che il vero nome del premio in palio nella politica è il godimento che si distribuisce da sé, nell’inconscio di ciascuno, in mille maniere di godere; nel gusto platonico di rappresentarsi il Bene supremo o magari nell’opposizione assoluta e soggettiva di Antigone.
Il Witz orwelliano su alcuni animali che nella fattoria utopica diventano rapidamente “più uguali degli altri” ha la comicità del cortocircuito tra paradigma e sintagma: nel Witz si svela che è il godimento soggettivo, di incerta quantità e misura, il significato nativo delle parole di là della sintassi, al punto di rendere lecito paradossalmente che si preponga “più” ad “eguale”. La comicità festeggerebbe il risparmio di energie psichiche quando un significato, trascinando con sé i significanti che lo supportano, improvvisamente produce un senso sincopato di tutto il contesto, svincolandosi dalla doxa retorica per contrare il Reale. È nel capire una barzelletta che si realizza l’”anagogia” degli antichi filosofi. (Per inciso: se consideriamo il senso un po’ sadico della grande maggioranza delle barzellette, dobbiamo riferirci al concetto freudiano di identificazione e dedurre che il riso festeggia somaticamente il fatto di non essere colui o colei che nella barzelletta fa brutta figura…).
Ciò che individuiamo come istanza politica di sinistra, a lato di sue ragioni di antagonismo più o meno fondate, condivide una vocazione non governativa con la psicanalisi in quanto a coinvolgimento di questa nella società umana e consiste nel non fermarsi ai primi significati.
Ponendosi come antifilosofia, meglio, come rovescio della filosofia, la psicanalisi non solo si riserverà sempre una posizione critica di genere socratico riguardo ai saperi, ma non può integrarsi pacificamente in quella branca della filosofia che prende il nome platonico di politica e nelle sue reificazioni: sarà sempre e comunque all’opposizione, cioè in posizione critica rispetto ogni discorso che si vanti (e millanti) di poter equilibrare i legami sociali e la dialettica dei desideri.
Nella psicanalisi questa vocazione negativa, blandamente isterica, è ben riconoscibile accanto all’altra vocazione di trattare il soggetto come “universale singolare”.
Così, per una sorta di proprietà transitiva riferita a detta posizione critica, la psicanalisi è forse “di sinistra”? O addirittura anarchica? Sarebbe avventato concluderlo, anche se c’è l’altra particolarità che spingerebbe a pensare in questo modo, la sua propensione universalistica che guarda all’umanità in quanto tale pur escludendo ogni omologazione per difendere la singolarità dell’inconscio in ciascun soggetto. Un fatto di vera cultura che latita nella destra politica.