121. PERFETTO

 Il valore autenticamente artistico di un’opera d’arte sta di solito negli aspetti che per l’autore dell’opera sarebbero reputati suoi difetti. Con un po’ di civetteria lo ammise Giacometti: quando gli chiesero perché facesse quelle figure così allampanate, rispose che non era bravo a farle come si deve.

 La perfezione descrittiva nei dipinti di Vermeer ha la sua magia nel fatto che il punto di vista ottico non giustifica del tutto le linee prospettiche e ancor meno la possibilità di mantenere a fuoco tutti gli oggetti. Lo stesso per Botticelli: è forse ciò che Odette avrebbe voluto udire da Swann.

 Tuttavia, nell’opera d’arte l’assunto “comme il faut” deve essere presente, per poter essere mancato. Nella tradizione veniva chiesto all’artista qualcosa di fatto bene nella speranza che magari risultasse fatto eccezionalmente bene, cioè con qualche eccezione rispetto un canone inevitabilmente manieristico. La funzione del canone artistico nelle diverse epoche assomiglia alla funzione della metrica e della rima in poesia, che obbliga il poeta ad andare verso la poesia più vera, quella che si fa quasi da sé, deviando, per non forzare l’argine canonico, anche dalla sua prima intenzione significativa.

 L’eclissarsi della committenza nel sistema moderno dell’arte è una iattura, l’artista si ritrova gratis (nei due sensi, attivo e passivo della gratuità) nella libertà-da con tutto l’imbarazzo conseguente della libertà-di, per cui, se non vuole rassegnarsi alla spaventosa verità che oggi l’arte la fa il sistema dell’Arte con la conseguenza che l’artista non esiste più, deve raffigurarsi di là del gallerista un committente ideale ex post, il pubblico, ben più incombente di quelli antichi, che gli ordina seccamente: “Fammi godere, fai un’ Opera d’Arte! Come dire: “animo, vai alla Cosa!”  Così, direttamente, come pretendiamo di fare nelle ordinarie o speciali perversioni, non per vie laterali ed oblique rispetto il tema prescritto, vie sublimi, per tener conto dell’etimologia del termine “sublime”: obliquo. Le vie dello stile.

 È smagante nell’arte contemporanea l’immediatezza con la quale un’opera si rivela essere la diligente traduzione di un’idea, sia pure l’idea di pescare qualcosa nell’inconscio o nel Reale fuori senso, talché la definizione di “arte concettuale” si adatta bene a tutta l’arte contemporanea non senza che nel termine vi sia un’implicita critica. Riferibile a che cosa? Al rapporto mancato che l’arte dovrebbe perennemente intrattenere con “ciò che al momento non potrebbe essere detto in altro modo”!

 Il sorriso della Gioconda non è altro che la difficoltà di descriverlo, come la verità alla fin fine non è altro che la difficoltà di dirla. Il Reale, vel il Tempo, per S. Agostino ineffabile. Di contro, l’artista che fa il filosofo rischia di essere stucchevole.

 Nota: per sistema creativo dell’arte si intende quella struttura produttiva che coinvolge e mette al lavoro galleristi, critici, collezionisti, case d’asta, pubblico, mass-media in cui la creatività soggettiva dell’artista diventa tanto secondaria da annichilirlo in quanto artista e relegarlo, appunto, in un ruolo produttivo tra altri.

Lascia un commento