127. PROMETEO

 C’è una concezione fenomenologica dell’arte di cui più di quarant’anni fa mi parlò Giorgio Pressburger e che credo in quel momento lo soddisfacesse anche su un piano di ontologia estetica nel suo lavoro di regista. In uno spettacolo di danzatori africani aveva visto portare così all’estremo le possibilità espressive che possono avere i movimenti e le torsioni del corpo umano, che in quell’”oltre” più che umano aveva potuto intravedere lo stesso miracolo espressivo che l’aveva stupefatto nello stesso giorno, durante la visita ad una pinacoteca, in un autoritratto di Rembrandt. Per un momento i ballerini gli erano sembrati degli dèi, al pari di come gli era sembrata opera divina il dipinto fiammingo.

 Volendo essere riduttivi si può pensare all’eccelsa bravura che strappa inevitabilmente l’ovazione per un’esecuzione perfetta del concerto n 2 di Prokofiev, per un numero circense o per quello del mago Houdini.

 Naturalmente, specialmente se ci riferiamo a Rembrandt, non manca la qualità espressiva, il discorso sotteso per noi in ogni opera d’arte, ma in questi casi ci sorprende anche il fenomeno della quantità talentuosa che diventa qualità nel punto in cui eccede la nostra dimensione come “dir-mensione”, possibilità di misurare. Irrompe il troppo, che è carattere del sintomo e del suo rovescio di godimento.

 Di fronte a questo fenomeno non possiamo cavarcela con un “Che bravo!” o un “Che bello!”. Sarebbe solo il riconoscimento borghese per l’incredibilmente impegnativo e faticosissimo training che si può solo sospettare dietro la performance, in quanto è ulteriore onere dell’artista nasconderlo ai nostri occhi.

 Quello che effettivamente ci lascia stupefatti e ci sposta dall’equilibrio con cui siamo soliti giudicare le cose, una specie di vertigine, è il senso del limite come orlo del precipizio che ci attrae mentre sappiamo che non ci lascerebbe indenni. L’emozione si risolve e defluisce inevitabilmente in un commento articolato il cui succo può essere, a ben pensarci, il riconoscere non solo di non poter essere ma anche di non volere essere artisti di tal fatta. Sfidare tanto così il corpo e la natura? No, grazie!

 Sarà un gioco di parole dire che il senso del limite è il limite del senso? Un’esperienza di godimento estetico non fa eccezione alla regola per cui il godimento, di qualsiasi natura, può essere vissuto solo come cortocircuito di senso e non- senso, prima di poter essere espresso bofonchiando.

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