134. NOT IN MY NAME

 Una strategia del rifiuto, che si opponga totalmente all’inedito totalitarismo di una de-sublimazione generale offerta nel mondo post-moderno come “discorso del capitalista”, ha tutta la dignità di esistere nell’accezione di un Agamben o di un Marcuse: forse fantomatico lavoro politico ma, in quanto politico da fare con gli altri. Bellezza romantica delle cause perse, al momento, magari con il pizzico di cinismo autopunitivo di ogni coinvolgimento pratico, come quello di Rhett Butler che si arruola in un esercito definitivamente sconfitto in “Via col vento”, e da opporre comunque all’Anima Bella. Sofferenze e colpe non si possono eliminare, ma si possono condividere.

 Invece il rifiuto e il conseguente ripiegamento puramente individuale che fu dell’asceta o dell’eremita corre oggi il rischio di un dandismo incline a pratiche di vita non più vivibili a viso aperto, come è peraltro nelle più disparate perversioni. Un esempio mi pare sia il percorso esistenziale del protagonista nel romanzo di Musil “L’uomo senza qualità” che si attua come fuga, decisione di mancare a quel mondo che è il suo: l’atto che si potrebbe a sua volta interpretare romanticamente, cioè eroicamente autodistruttivo in quanto distruttivo dell’Io, di quella somma di dubbie qualità che devono esserci riconosciute, si riduce per Ulrich nel rompere lo specchio del sé sociale che, allorché vi si scrutasse, teme gli rimandi l’immagine di tutto un mondo volgare e rincretinito. Ulrich il matematico vuole sottrarre la merda alla vita per non dover dubitare di sé e del suo godimento elitario, ma per farlo non può che allontanarsi dalla vita stessa sulla via del Kitsch. L’etica comune non è mettersi nei panni altrui non senza dubitare di sé? Quella di Ulrich si chiama “tirarsi fuori” da qualsiasi responsabilità, non solo nel rapporto con gli altri, ma anche con l’Altro.

 Decide di rispecchiarsi esclusivamente nel suo doppio, in Agathe, la gemella siamese, fantasma del due, sì, ma di un due.

 Cosa non si farebbe pur di non dover rassegnarsi al “due” in tutta l’ambigua complementarità dell’Uno nata tra alienazione e separazione (in e da un tutto materno)!

 Ulrich e Agathe decidono di costituire una coppia supplementare rispetto “tutto il resto” del mondo. Che invece è complementare a ciascuno dei due che, nel loro immaginario, la comporrebbero indissolubilmente! Come, per metafora tratta dalla fisica, si dimostra nel “principio di indeterminazione”. “Tutto il resto” (di ciò che siamo con l’oggetto sperimentale) è infatti una locuzione di Heisenberg nel suo libro più amato ancorché divulgativo: “Fisica e Filosofia”. È forse il libro più antihegeliano che abbia letto, nel suo fare a meno del tre come sintesi pacificante in un qualche “Spirito” della scienza in progress verso il Sapere “Ab-soluto”, sciolto da noi.

 Cos’è la soluzione di Ulrich se non la fuga in una specie, se esiste, di immunizzazione dal poter essere uno di tanti sgorbi umani che si godono la vita come possono, negli scambi? Per godere viceversa di una eccezionalità pregevole più per sé che in sé, narcisistica infine. Non solo Heisenberg, ma neanche Henri Laborit, un genio di tipo rinascimentale autore del famoso “Elogio della fuga”, elogerebbe questo salvarsi l’anima tirandosi fuori da un momento sia pure deplorevole della Storia quale poteva apparire nel Finis Austriae e quale può apparire a noi nell’epoca della diluizione nel mercato anche del più valoroso soggetto umano.

 In quale altra diluizione del soggetto fuggiremo? La Storia dello Spirito, ammesso e non concesso che esista, ci offre oggi il territorio delle certezze algoritmiche adattate alla vita, l’intersessuale (unisex) Intelligenza Artificiale, un’anima cifrata collettiva, ma non più artificiale della soluzione assolutamente solitaria di Ulrich e Agathe. L’IA sarà un ottimo riassunto, non una tendenziosa parafrasi, della nostra Storia Umana. Bene, ma non dovremo scegliere tra diventare la Creatura di Doktor von Frankestein,, sfortunatamente (per essa) non ignara di sé, oppure l’Omunculus del Faust II, disposto a perdere sé stesso nel desiderio? O, infine, l’animale innocente e incolpevole?

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