La seccatura non è tanto il fatto che l’etica sia, come è in verità, il valore umano assoluto, ma che resti inevitabilmente patologica, coinvolta nell’inconscio come nel pathos del tempo, degli accidenti, della contingenza, dell’ineluttabilità dell’atto compiuto. Un lavorio faticoso ed approssimativo che ci è imposto da quella incompletezza dell’”Essere”, esposizione inconcludente al Reale, che consente la libertà e che a Königsberg, stranamente, ci si voleva risparmiare.
Il filosofo del trascendentale, nel ricorrere a cause prime assolute in fatto di legge morale, fa il passo falso della Chiesa cattolica quando, nel condannare l’omosessualità, l’aborto, la fornicazione o altre pratiche, peraltro, in atto da sempre, fa ricorso a un assoluto detto Natura o Creazione di cui il male sarebbe un difetto senza bisogno di evocare angeli caduti o altri antagonismi, così che la moralità possa restare, per semplicità e credibilità teologica, monistica e tolemaica. Il bene del quasi-Tutto e il male residuo volteggerebbero intorno a noi che saremmo affetti da un dovere del bene scritto come legge funzionale eterna ed eguale solo a sé stessa, cioè come necessità. L’inumano come metro etico dell’umano. Ha sicuramente più ragione Lukacs quando afferma che la natura (“naturata”) è una categoria storica. A maggior ragione lo sarebbe anche la Natura “naturans”. La questione risalta comicamente nel caso della religione per come essa si mostra più radicalmente materialista del più roccioso marxista nell’appellarsi a ciò che è “naturale” riguardo le pratiche erotiche.
Lasciamo ora da parte la famosa critica di Lacan all’imperativo categorico (Kant con Sade) per fermarci all’accezione più comunemente accettata di “voce della coscienza”.
Sappiamo che per la psicanalisi la voce della coscienza è la voce del Super-Io inconscio e che questo risvolto soggettivo presente nella metapsicologia freudiana dei primi anni ‘20 (IIa topica) si evolve teoricamente sempre più da funzione necessaria e correttiva degli istinti a componente variabile, sintomatica e fantasmatica, della personalità. Già Freud aveva capito nel 1932 che “il Super-Io del bambino non si forma (per mimesi) a immagine dei genitori nel loro comportamento, bensì (sotto dettatura) del loro Super-Io; esso si riempie dello stesso contenuto, diventa il rappresentante della tradizione, di tutti i giudizi di valore che così persistono attraverso le generazioni”. Non è il sostrato linguistico del Grande altro? Non dovremo, se progresso può esserci, puntare sull’eccezione? E il Super-Io, a sua volta, non è sorto da qualche eccezione “di natura” come d’altronde il diritto positivo, le leggi? (“Da che, se no?”, si chiede Carl Schmitt…). Con la formazione della cooperazione evolutiva la voce della coscienza non c’entra, semmai con una strana tendenza opposta, che di quella può essere la verità ma non la causa né l’effetto. “Devo perché devo”, senza saperne niente, senza curarmi d’altri e restando sottinteso che non lo voglio. E’ il carattere della cieca pulsione.
Lacan si propone “praticamente” di sostituire il Super-Io con la Legge simbolica che è tutt’altro, questa non tappa il dilemma con imperio interdittivo o valoriale, ma apre al negoziato con l’Altro salvo il “doppio vincolo” di non cedere sul desiderio e allo stesso tempo di non fingere di conoscerne l’oggetto inconscio. Diciamola tutta, di non fingere di conoscere il significato preciso delle parole e dei pensieri in ossequio al Padrone e al suo editto in cui è iscritto il Nome del Padre. Si tratta di uno dei famosi “quattro discorsi” enucleati ed enunciati da Lacan: ed ecco che l’etica vi eccede nell’inseguire il suo proprio senso dell’esistenza.