C’è per Lacan una verità disgiuntiva, probabilmente una sola: cultura oppure natura, come dire o linguaggio simbolico o rapporto sessuale.
Se esiste il primo non può esistere il secondo e viceversa. Fatalmente, cioè da sempre e per sempre. Non c’è Moebius che tenga al livello del senso tra ciò che diciamo o pensiamo e ciò che facciamo per riprodurci: si tratta di momenti irrelativi usciti dallo scacco erotico infantile e definitivo.
Un’oscillazione indicata come vel può esserci per esempio tra l’afanisi del soggetto (nella caduta della “presenza” demartiniana) e la presenza erotica (nella separazione, senso, Altro), ma un rapporto tra due soggetti umani così equiparabili da poter dare Uno come risultato non esiste ed è supplito nei fantasmi erotici immaginari e nelle narrazioni simboliche. Quando dalla Cosa si è creato l’oggetto il rapporto sessuale è stato pagato per avere un mondo. Gli animali ne restano “poveri”, dice Heidegger. (Ma hanno la precisione dell’estro…).
È di sicuro un punto massimo raggiunto dal pensiero occidentale quando Lacan sacrifica in favore della civiltà la supposizione di esistenza del rapporto sessuale negando che se ne possa formulare e scrivere una legge che renda ragione di un desiderio erotico simmetrico e complementare tra uomini e donne, equazione algebrica senza resti, rapporto esatto, esauriente come quello di Polizia, non reticente né eccedente.
Impossibile, sconvolta com’è stata la cronologia dell’estro nell’essere umano, con la libido a giostrare istinti e bisogni in favore del desiderio di abbracciare il fantasma materno per adocchiare l’oggetto fulcro del godimento nascosto nella sua ombra o, meglio, il nome inimmaginato cui conduce il suo desiderio: il Fallo. Desiderio che però, senza che ce ne accorgiamo, cioè senza aver “attraversato il fantasma” nelle sue varie forme immaginarie, falliche e sintomatiche, può anche, di ritorno, rivestirsi del godimento di dire sé stesso, ed è specialmente il caso del nevrotico. Non che non lo possa anche la delusione e la sofferenza… Non che non lo possa il delirio psicotico… Resta fondamentale che l’abbraccio è simbolico, anzi, è il Simbolico, il linguaggio in sé e per sé, tanto che l’Edipo psicanalitico abbia un suo senso di necessità in Giocasta, colei che capisce, interpretabile come Altro, e la tragedia non sia una fola come altre. Si tratta di una soluzione che il melanconico (e l’afasico) si nega.
Tutti gli istinti e tutti i bisogni si sono adeguati al desiderio, ma l’istinto riproduttivo ne è stato radicalmente sostituito perdendo ogni orientamento riguardo la sua meta specifica. Sostituito ab initio dall’amore di “Lalingua”, bisex, ricompare rutilante nell’Immaginario oppure nei suoi resti freudiani, pulsione, libido, desiderio inconscio. Ne nasce il soggetto, una bazzecola, la faccenda della libertà e della felicità, del senso della vita e della morte.
Forse per l’essere parlante non c’è rapporto sessuale per la stessa ragione per cui esso c’è solo nell’estro per tutti gli altri esseri sessuati che, vivendo il presente senza il senso, sono al riparo dalla morte. Se l’antropologia tratta poco l’erotismo, non ha dubbi sulla concomitanza di cultura ed esequie. Detto con altre parole, solo con il desiderio di parole che suppliscano all’impossibile e al fallimento, noi “perduriamo tra passato e futuro”, tra parvenze. Finché si può, dato che con l’irruzione del Simbolico nella genealogia umana si è perso il rapporto sessuale, la natura, e si è guadagnata la cultura, il senso e la morte.
Ma la morte è entrata con il suo antidoto, l’amore di “Lalingua”, in questo più efficace dell’erotismo. Antidoto, non esorcismo.
Lacan non rifiuta l’ipotesi di una prematurazione sessuale neotenica per individuare il punto di fuga umano dalla ragione evolutiva, dal “Caso e la Necessità”, ma nel merito si guarda bene dall’assecondare qualche immaginazione che reperisca significati diacronici specie-specifici che rendano conto della creazione del “mondo”. Nostro, delle parvenze.