La religione cattolica, per come si è formata storicamente nella Chiesa, mostra di essere più funzionale in ordine alla stabilità dei rapporti sociali, come dire che mostra maggiore sagacia politica, rispetto il protestantesimo luterano, battista o, a maggior ragione, calvinista. Non teme né fugge le contraddizioni, vi si adatta e vi si inserisce.
Mantenendo formalmente distinta la dimensione privata e la dimensione pubblica della vita con l’ingegnosa mediazione del sacramento della confessione, molto privato, il cattolicesimo consente che l’ipocrisia ammessa e perdonata di principio per tutto ciò che riguarda l’immagine di sé sulla scena pubblica renda inutile l’ipocrisia nell’ambito privato, cioè tolga un po’ di utilità all’esercizio universale della falsa coscienza. Un effetto che può volgere dalla politica all’etica e viceversa: che emerga nell’ambito pubblico la spudoratezza più che la colpa.
Si mette così alla prova l’assunto paolino della legge che crea il peccato: il dimezzamento effettuale della legge, per quanto del suo carattere positivo e collettivo, cioè politico, viene introiettato, comporta l’indebolimento provvisorio del senso soggettivo del peccato e della colpa, uno spazio per la Legge del desiderio. Se pubblico e privato divergono in due registri morali, sarà probabilmente il primo registro, delle leggi, in quanto più artificioso, a perdere prima un po’ di allure e credibilità. Le leggi si cambiano per fortuna. Ci fosse l’”essere” giuridico, l’essere di giustizia, il suo nome proprio sarebbe “Lalegge”. Di una donna, com’è nella triplice raffigurazione delle Horai: Dike, Eunomia, Irene, com’è anche in quella romana della Iustitia. Per Lacan la Legge è del Simbolico e del desiderio, simbolico a sua volta, pertanto eccentrica nell’ordine indoeuropeo, più materna che paterna. Nata più probabilmente a Creta per essere trasfigurata nel mito dorico, che a Babilonia.
Dicono che i Gesuiti praticassero due tipi di confessione, per i peccati commessi nell’attività nel mondo, che erano ben fermi nel voler praticare (l’attività, non i peccati), e nella vita devozionale nell’Ordine.
Ma lo slogan equalizzatore in auge negli anni ‘80 “il pubblico è il privato” è invece pericoloso perché il pubblico avrebbe la forza di invadere il privato e non viceversa come si può supporre volessero gli inventori dello slogan. Ricorda la versione americana dell’aforisma “wo Es war soll Ich werden” in chiave collettiva, sociale e politica, cioè la conquista di territori soggettivi da parte del Grande altro civilizzatore adombrato nell’Io identitario. Metafora della colonizzazione del Far West.
Ma dio ci scampi anche dalla tentazione di rendere pubblico il privato: può essere il privato di alcuni tremendi puri fedeli tesi unicamente a giustificare un unico destino, come voleva il prete di Ginevra e altri preti folli e totalitari di cui Hitler è un modello laico. Stalin aveva imparato da seminarista ortodosso a spiare il privato altrui.
Il pubblico è il luogo relativamente moderno dell’oggettività e della positività morale e legale, storica e transeunte: tra quel luogo e l’ambito privato forse intercorre lo stesso rapporto che intercorre tra, rispettivamente, l’oggetto e il soggetto, il significato e il significante con la barretta del buon senso a dividerli.
Le leggi giuridiche vacillano a livello del senso anche per inevitabilità strutturale: la Legge simbolica della parola non scritta e pertanto problematica (da non confondere né con il codice né con l’imperativo super-egoico) ha consistenza “molecolare”, perciò è nel tempo più forte, in quanto pervasiva e orizzontale, di quella reificata molarmente per il pubblico: la tiene a bada o almeno tenta di farlo. Non si tratta qui di diritto naturale, peraltro mai esistito, contrapposto a diritto positivo, ma di inconscio contrapposto a costruzione ideale della realtà civile, un costrutto che si ispira allo Stato etico hegeliano ignorandone l’essenza inevitabilmente mortifera.
Ha perfettamente ragione Žižek quando afferma che ogni totalitarismo si sostiene sulla doppiezza della legge, una veste ufficiale e una sottaciuta, non proferibile facilmente e pertanto non trasgredibile facilmente, vigente nel pubblico e nel privato in un continuo, non si capisce però perché, se è solo per questo, la prima debba essere preferibile alla seconda, da lui definita super-egoica ed oscena: entrambe ordinerebbero di godere. D’altra parte, ha ragione Adorno ad affermare che sono tutt’altro che assenti aspetti di totalitarismo nell’american way of life. La pretesa di una vita etero-diretta nelle dittature è sostituita dalla pretesa di una vita auto-diretta, impegnativa sul piano etico ma assolutamente confacente al legame sociale che coincide con il sistema di produzione e consumo nelle democrazie post-moderne in cui il privato tende effettivamente a integrarsi nel pubblico. Date queste circostanze, circostanze di tardo-capitalismo, il gusto della trasgressione in quelle società procede giocoforza verso l’estremo limite e l’invenzione criminale.
Il peccatore WASP è una figura consapevolmente e definitivamente tragica, vuole correre autentici rischi etici, a differenza del peccatore che interpreta la commedia all’ombra della cupola di S. Pietro e nel caldo ricettacolo del confessionale. Il mafioso assassino e devoto della Madonna si dirà spinto dal bisogno e da una legge causata da un occasionale patto privato più che da desiderio e godimento assoluti come il mostro di Milwauke. Non c’è serial killer pentito, giustificherà a sé stesso il suo crimine come una legittima reazione alla pressione del Grande altro: “disagio della civiltà”, no?
Invece psicanalisi e cattolicesimo convergono nel vedere il male nella mancanza di compassione per il male stesso.
Molto può riferirsi alla maggiore o minore assunzione dell’eredità di una realistica separazione tra pubblico e privato che arriva a noi dalla più che millenaria tradizione romana. Quella che fa sì che, mentre negli USA per convenzione si debbano credere sinceri i bei discorsi di ogni politico americano, in Italia si sorrida al solo pensiero che il demagogo di turno possa veramente essere devoto al bene pubblico come vorrebbe farci credere.
Un realismo che la psicoanalisi ha fatto proprio, del tutto indipendentemente e con una radicalità inedita, dato che svaluta un Io sociale e moralista, che facilmente si esprimerà con un “noi” e un “voi” proiettando un Grande altro, rispetto il soggetto etico che resta ancorato alla specialità eccentrica dell’”Io e del “Tu”. Va rilevato che il Grande altro non è l’Altro, lo segnala la presenza di un aggettivo.
Il soggetto della Legge e del desiderio, subordinato com’è, in quanto significante, all’Altro simbolico, radicale, desidera invertire continuamente il rapporto dialogico tra ciò che lascia separato: lungi dal relegare il desiderio in un ambito assolutamente privato ed individuale, lo legittima come un possibile spunto di critica politica desiderando che l’eccentricità della sua posizione etica sia riconosciuta come ipotesi “idiotica” ma “trascendentale”. L’esempio etico, cioè l’etica, procede dal privato verso il vaglio del pubblico che tuttavia fa presto a contaminarla in leggi e moralismi. Scrivendola.
C’è un corollario lacaniano: non ci può essere altro ambito in cui si possano individuare trasgressioni direttamente sanzionabili che l’ambito pubblico, quando si accetti che la vera colpa soggettiva sia quella di cedere sul proprio desiderio. È il problema del diverso approccio politico della psicoanalisi nelle società venate di puritanesimo come quella americana, sostanzialmente il problema “giuridico” di stabilire il confine tra pubblico e privato e perciò il dubbio sul diritto a stabilirlo da parte dello Stato.
Ma ce n’è uno meno lacaniano e anch’esso giuridico: quando la vita viene offesa nel privato, per esempio quando una moglie viene picchiata, la faccenda va denunciata, trasferita al pubblico, punto. Ricordo che, quando mia figlia era adolescente ed usciva la notte, le raccomandavo, qualora qualcosa di spiacevole le capitasse, qualche intrusione nel suo privato, di gridare a più non posso, di non paralizzarsi o cincischiare ma di gridare aiuto, chiamare a viva voce l’Altro come se esistesse; la polizia con il telefonino dopo… Siamo noi, cioè gli altri, a dover correre a soccorso per chiarire le cose. In pubblico.