L’altro luogo nominato come località, oggettivo, turistico, è il luogo desiderabile del desiderio, ma l’altrove più generico è il luogo del desiderio desiderabile. Anzi, non c’è desiderio se non “altrove”. Soprattutto per l’ossessivo. Personalmente, non credo di essere un vero turista, che vuole leggere il luogo, impossessarsene per quanto possibile nel breve tempo del tour partendo da ciò che già immagina, idea di cui fa paradigma il Giapponese che fotografa perennemente ciò che bisogna fotografare. Mi piace invece, sapendo che “capirci” qualcosa, di un luogo, significa farne mondo e rientrarvi, l’altrove anche vicinissimo al luogo in cui vivo, non importa, un altrove che attendo mi parli prima che l’interroghi, prima che la domanda sia formulata, un altrove che mi susciti pensieri, se capita, tanto vaghi da dover rimanere inespressi in attesa di trovare il link tra le parole. Forse troveranno di che concatenarsi: se sì, bene, se no, bene, l’immaginario non ne risulterà carente.
Un luogo a cui dare un nome come dovevano fare una volta i grandi esploratori. Ma quanti e quali sono i luoghi intorno a noi cui potremmo dare un nome?
Ero giovane quando ho capito che erano da evitare le serate di diapositive votate all’esotico oggi sostituite da serate di film in chiavetta USB, tali che dovrebbero essere invidiate dall’agenzia turistica.
E anche di fare come la mia amica M. che, già che il mondo è rotondo e suo, un anno va in Lapponia, l’anno seguente in Nuova Zelanda e quest’anno in Patagonia.