153. CHE FARE

 Un difetto epistemologico della Storia, si intenda come narrazione di modi di vivere o come il susseguirsi di eventi ovvero cause ed effetti di cui si fa scienza congetturale e diacronica, è il suo essere disgiunta dall’antropologia, eminentemente sincronica. Perciò del passato e soprattutto dell’epoca nostra presente non possiamo inferire niente di decisivo, ma possiamo immaginare come questa ultima si potrà narrare (scrivere) in futuro: allo stesso modo sommario di come gli storici colgono del passato i tratti che appaiono più salienti.

 Forse sarà ricordata come l’epoca dell’ignominia che nessuno insorgesse contro le menzogne della pubblicità, avendo questa preso il posto della religione alleandosi con una tecnologia imbizzarrita che da tempo aveva strappato le redini alla scienza, redini prese saldamente in mano dal capitale già fattosi politico ispiratore dei “paradigmi di ricerca”. Insieme o alternandosi, questi aspetti della modernità avevano l’efficacia della religione nel promuovere le angosce in forma di sapere (occhio ai germi, al calcare, alle impurità invisibili…) e gli antidoti ad esse in forma di feticci collegabili con un loro prezzo ad ogni genere di rassicurazioni. È il trucco sacerdotale presente nei tempi dei tempi, appellarsi ad angosce e paure altrui per offrire lenimenti in cambio di potere.

 Comunque, ad ogni commessa di grande magazzino veniva suggerito che poteva diventare una diva a patto di consumare qualche crema cosmetica che vendeva.

 Se l’amuleto chimico o in generale tecnologico non funzionava al livello del senso e del godimento, restava la psicoterapia, una buffonata alla corte delle neuroscienze. Non era forse scandaloso che i negromanti delle psicoterapie potessero praticare senza passare per una psicoanalisi personale?

 La psicanalisi, forse solo ricordata in quel futuro, sarà assolta di principio perché, in quanto discorso del non sapere, di principio non spettava ad essa insorgere contro alcunché.

 Su un versante opposto, la psicologia, genericamente intesa, decadeva come scienza utile a fronte dell’efficacia esibita dal complesso macchinico detto “intelligenza artificiale”, nel saper estrarre “profili” psico-logici personali dalla pletora di informazioni che tutti gli esseri umani affidavano all’etere intorno alle proprie scelte.

 Grandi certezze (sci… sci…entifiche come balbettava Gassmnan nel film “I soliti ignoti”), grandi fedi si imponevano all’epoca, ma soprattutto una dialettica di paure ed esorcismi a scanso di quelle piccole provvisorie verità che Lacan disse essere “le sorelline del godimento”. Disconosciuto il limite come rovescio della scienza, il sacro si spargeva e diffondeva nel profano come paura millenaristica, nient’altro che voglia di fine del mondo, tipica in ogni basso impero.

 In quell’epoca diventava più che mai evidente in politica la dissimmetria tra una Destra, retaggio di necessità ovvero di ”ciò che non cessa di scriversi”, tale oltretutto che finiva per far suoi tutti i più svariati populismi, e una invenzione politica detta Sinistra che in quella stessa epoca disorientava sia i padroni oligarchi che i servi così che nei più disparati angoli del mondo l’aspirazione alla libertà non si districava tra libertà di fare o avere e libertà da ciò che impedisce di poter desiderare. Tant’è che quell’invenzione poteva essere sinonimo di umanesimo.

 In quell’epoca non s’era ancora compreso che solo una cosa ci fa veramente problema, l’indecidibilità di essere o avere il corpo parlante, gaudente e mortale, e che l’impetuosa accelerazione (digitale) che in quell’epoca avveniva nell’eterno percorso di virtualizzazione del mondo era per misconoscere l’irrisolvibilità o l’immaturità di quello stesso problema (analogico). Una scrittura come altre nel mondo da sempre de-scritto come un resto del pensiero, dell’anima o in generale dello spirito.

 Una spensierata tentazione faustiana prendeva piede all’epoca, quella di eliminare o almeno rendere del tutto virtuale il corpo, assecondando in fondo una storica tendenza (invalsa soprattutto in quella civiltà occidentale di cui parliamo, che appariva fascinatoria e vincente sulle altre culture…) ad affidare sempre più numerose funzioni umane a sempre più sofisticate macchine: forse un programma da portare a compimento fino al punto di sostituirci non solo nelle funzioni energiche spazio-temporali ma anche nel pensiero che dovrebbe prepararle, nell’anima o in generale nello spirito. Senza resti.

 Giudizi di tal fatta potranno forse essere formulati in futuro dalla nostra progenie per effetto di qualcuna di quelle retroazioni (metafora cibernetica) ricorrenti nel discorso umano che chiamiamo Storia e che hanno permesso finora alla soggettività umana di continuare ad esserci. Retroazioni per lo più addebitabili, secondo me, a servomeccanismi femminili.  Se avverrà, bene, altrimenti, bene comunque: pressappoco gli stessi giudizi, saranno formulati da un nostro fantomatico ed intelligentissimo erede post umano. Nella forma non tanto del cyborg quanto dello homunculus faustiano, ma, a differenza di quello immaginato da Goethe, fatto ragionevolmente autoprotettivo ed asessuato.

 Cos’è una retroazione socioculturale? Facciamo un esempio banale: se in una strada non è stato buttato neanche un mozzicone di sigaretta diventa meno probabile che qualcuno vi butti un mozzicone di sigaretta… È ciò per cui un nostro comportamento può essere effetto diretto di qualche azione altrui senza per questo essere una reazione come lo sono di regola i nostri comportamenti. Si può azzardare che in una retroazione socioculturale, la dimensione micro dei fatti sociali si trasformi nella loro dimensione macro e viceversa come su un nastro di Moebius con la sola mediazione del tempo invece che con la mediazione dell’inconscio come discorso dell’Altro, mediazione che, se esistesse, sarebbe, nell’esempio, un’ideologia di pulizia e purezza a copertura di un Super-io collettivo, quasi sicuramente “discorso del padrone”.

 Ma c’è pur stato un soggetto che per primo ha evitato di buttare una cicca. E non sappiamo che nella complessità le fluttuazioni possono venire da eventi singolari in un punto singolare?

 Oltre a rappresentarsi un sacco di cose e pensarle in quanto significanti, l’essere umano agisce con i significati nel sistema degli scambi, su suggerimento dell’inconscio ma faisant semblant di tutt’altro: una parodia dell’”azione” del Faust che fu in principio. Ecco perché i cambiamenti nella Storia sembrano sopravanzare il linguaggio, l’inconscio e l’antropologia. Ecco d’altra parte perché, per etica, non si dovrebbe discutere con il paranoico che si avvale di parole contro l’Altro (che non esiste), andrebbe sgridato e basta. Prassi.

 Tuttavia, resta escluso che fatti ed eventi, ovvero quelle evidenze che Lacan chiamò sembianti e vanno a costituire il tempo passato, abbiano senso di per sé funzionando di ritorno come metalinguaggio a garanzia del senso. Per esempio, il fatto che oggi un padre non sia più incerto e una madre possa essere anagraficamente incerta non intacca il “padrenostro che sei nei cieli”. Né lo intaccano i satelliti che ingombrano i cieli a noi più vicini, tant’è che ad ogni disincanto scientifico nell’immaginario suppliscono magie scientiste. Ma non solo i cambiamenti fattuali storici sembrano lasciarci più indenni nell’animo e nel giudizio di quanto sarebbe logico attendersi in base al principio leibniziano di ragion sufficiente o al principio che legherebbe il senso a scienza ed esperienza, ma anche l’incombere del Reale come contingenza di cattivi incontri, terremoti, cataclismi, accidenti rovinosi. Riguardo a questo nostro non realismo la psicanalisi non ha spiegazioni né obiezioni finché Eros, tra pulsione e desiderio ce la fa a frapporre il godimento anche tra l’angoscia esistenziale e l’accortezza giudiziosa.

 l’Immaginario ha i suoi tempi e risponde, con ciò che ha pescato nella “realtà”, solo ad affetti, illusioni, delusioni, passioni di un Io sempre a corto di significati e criteri di fronte all’indissolubilità delle pulsioni di vita e di morte, la complessità a noi più vicina, libidica. Così come il Simbolico, nutrendosi di desiderio, Legge e godimento, risponde solo alla mancanza.

 Solo l’Arte può sopravanzare il linguaggio nel Reale di un poco e per poco tempo giocando a rimpiattino con l’inconscio affinché le cose si trasformino in parole: nostre, non dell’artista; è in ciò la sua potenza.

 Il luogo in cui il gioco si svolge è della mancanza più che del godimento: per la precisione la mancanza di sapere il godimento. L’opera d’arte è il risultato ex post di un averci saputo fare “istintivo” o “intuitivo”, ma nel senso che l’intervento dell’immaginario vi è in gran parte inconscio, dopotutto come lo è nello svezzamento quando induce le novelle parole del bambino a supplire alla mancanza del corpo materno o come lo è in psicanalisi qualche interpretazione fortunata al punto di produrre la ripresa del lavoro analitico.

 Come Lacan, anche Adorno (MM.-136) osserva che ”Gli artisti non sublimano…: ogni espressione riuscita del soggetto è una piccola vittoria sul gioco di forze della sua psicologia. Il pathos dell’arte è precisamente in questo: che essa, proprio ritirandosi nell’immaginazione, dà la sua parte alla strapotenza della realtà…”.

 Come dire che alla realtà le buone intenzioni dei trattati di “scienze umane” non fanno né caldo né fresco e se si vuole che qualcosa cambi forse è meglio non ingombrare gli spazi in cui i poeti possano fare il loro mestiere. E nessuno dovrebbe ingombrare lo spazio in cui si svolge il nostro quotidiano esercizio di immaginare un senso per il mondo e la vita.

Lacan diceva che il suo ruolo di psicanalista didatta gli bastava e avanzava, eppure è evidente che, sia pure distrattamente, ebbe a forgiare una antropologia. Che farne? Quello che bisogna fare di ogni antropologia, niente, assolutamente niente.

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