36. UN MINIMO D’APERTURA

Se, per ripugnanza della metafisica, si volesse azzerare ogni possibile predicato dell’Essere, di quello scritto con l’iniziale maiuscola, non si cancellerebbe una sua vocazione negentropica. Il soggetto non può produrre per suo conto serie veramente stocastiche, che invece possono essere prodotte da oggetti, dadi, per esempio, o computer. Cose igienizzate e confinate.

Quando Lacan definisce il Reale “impossibile” si riferisce proprio a questa nostra impossibilità di accettare la casualità come nostra matrice: lo stesso concetto moderno di “complessità” non è altro che un nome (un significante) di tale impossibilità. Con ciò non si vuole affatto dire che ci sia un Reale in cui il caso prevalga sulla necessità, semmai che ci sia un oltre logico, cui dare nome di Reale, rispetto l’idea di caos e di ordine.

Tutto ha un ritmo, ma naturalmente perché vediamo ogni cosa come appartenente a insiemi sistematici e sincronici. Con ciò si può arguire che il soggetto risponda a un algoritmo? Certo, come tutto ciò che è neuronico e pensabile, ma si tratta di un algoritmo disturbato e deviato da errori, interferenze, rumori e indecidibilità che provengono dal tempo, da un “fuori termodinamico”. Chi sarà così pazzo da sostenere che in natura esistano sistemi chiusi? Oppure che sia un sistema chiuso il linguaggio?

A proposito di timori millenaristici per le virtualità fantatecnologiche del calcolo rese possibili, promesse o minacciate dal linguaggio digitale o dalla fisica quantistica, le nostre parole risponderanno sempre da un punto di debolezza immortale, un difetto dell’Uno biologico insito nel significante che lo unifica, difetto paradossalmente più forte che la forza della precisione digitale e indifferente per la natura della “lettera”, ovvero del “supporto materiale” che le veicoli, sia essa di fonemi o di bits.

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