Sappiamo che Lacan diffidava dell’Università come istituzione per ciò che riguarda l’insegnamento della psicanalisi, temeva anzi che, ad affidargliela, ne uscisse o ne restasse mortificata nelle forme statiche dei tanti saperi che l’Università erige e conserva come argini contro l’irruzione di qualche sapere in atto che spesso arriva da dove meno lo si aspetterebbe, di qualche prassi scientifica che per ripartire dalle sue stesse scoperte non voglia aspettare il molieriano “dignus est entrare”.
Anni fa, a margine di una sua conferenza, mi è capitato di chiedere a Slavoj Žižek se condividesse le critiche che da varie parti da due decenni venivano mosse a J. A. Miller per la sua decisione di riprendere il lavoro teorico di Lacan in un’aula d’Università. Mi rispose secco: “We must take such a risk”. Forse è vero, forse no; avesse detto “We can…” non si avvertirebbe un accenno di doppio legame alla Bateson.
Un rischio che si deve prendere non è più un rischio, è un prezzo: lo stabilirà l’Università e sarà alto.
Resta che di sicuro qualsiasi avanzamento della psicanalisi avverrà, se avverrà, per virtù della stessa maniera adottata da Lacan per ripartire da Freud: individuare i punti di impasse e là inserirsi con un nuovo discorso senza per parte sua mai cedere a una doppia tentazione, quella di cincischiare intorno alla questione per aggiustarla com’è nell’esegesi universitaria, e quella di sottrarsi per conformismo ortodosso alle nuove impasses inevitabili e del tutto inedite; anzi, dando l’impressione di cercarle e produrle onde consentire riprese che portino in direzioni imprevedibili. Un progresso, non uno sviluppo della dottrina.
E’ improbabile che ciò avvenga di primo acchito nell’Università, anche se c’è da levarsi il capello davanti al lavoro di Miller, da non perderne una riga: forse, come per tutti gli insegnamenti, Miller certo sarebbe d’accordo, per poi poter “farne a meno a patto di servirsene”.
A questo paradosso si atterrà lo psicanalista pratico, ma ancor di più il teorico: andrebbe risolto un problema che percorre la storia della psicanalisi fin dagli inizi, il fatto imbarazzante ma incontrovertibile che i teorici più brillanti, in grado di apportare i contributi più interessanti alla dottrina, risultano essere quelli più sommariamente analizzati. Forse basterà prenderne atto e confidare negli effetti di controllo retroattivo automaticamente presenti in un discorso che si svolge nella complessità interna ed esterna, per molti aspetti più ecumenico di quanto si vorrebbe. E, naturalmente, anche più nevrotico di quanto si vorrebbe. Ciò è perfettamente in linea con il ragionevole sospetto che siano i nevrotici a fare la Storia nei loro tesi rapporti con l’altro, con il Grande altro, con il Super-io, nonché, in fondo, con l’Altro.
Comunque, oggi ci sono psicanalisti lacaniani, psicanalisti non lacaniani, psicanalisti lacaniani che non vogliono esserlo, psicanalisti lacaniani che non sanno di esserlo; Se potessi ancora parlare con il mio amico Eduardo Colombo, insisterei, dopo che l’ho fatto in Campo S. Polo a Venezia nel 1984, a farlo arrabbiare nuovamente inserendolo in quest’ultima categoria.