Senza attendere Cartesio, già la composizione che Aristotele attua tra Parmenide ed Eraclito garantisce la possibilità dello sviluppo della conoscenza in quel rapporto lineare/causale tra virtualità e atto che noi siamo chiamati a scrutare e scoprire al riparo da interferenze laterali. Basta credere che tale rapporto se ne stia là tranquillo in nostra attesa. Sia che esso derivi da un mondo fatto macchina o da un mondo fatto fiume in cui siamo immersi senza alcuna possibilità di interferire. Avere la ferma e triste fede in una necessità contrapposta solo a quella ignoranza che qualcuno chiama contingenza.
Non c’è sarcasmo, è solo che c’è qualche altra epistemologia, come quella in cui non esiste altra physis che la nostra. Allora è anche nella svista e nell’inciampo che può attuarsi qualche progresso, che non vuol saperne della linearità e vive di eventi inopinati.
Vale qui l’aforisma di Lacan: “Non c’è causa che di ciò che zoppica”. L’incontro con il Reale, cui pure agogniamo per qualche verso, non può avvenire in tranquillità prima di rientrare nella “realtà”, cioè prima che ce ne facciamo una ragione: o ne siamo aggrediti o ci lascia interdetti. Niente è più reale dell’ostacolo in cui si inciampa. Niente è più “scientifico”.
Un esempio potremmo trovarlo nella scoperta da parte di Fleming della muffa penicillina come causa di un inopinato evento/effetto bioclastico, scoperta che determinò un grande progresso nella farmacologia e avvenuta, si dice, grazie alla dimenticanza di un vetrino da microscopio sul davanzale del suo laboratorio.