Tra le tante impossibilità di sapere, alle quali ci si dovrà rassegnare (anche affinché l’Infinito ceda, se dio vuole, all’indefinito) ci sono i passaggi e gli accadimenti attraverso i quali si è formato il soggetto umano nel travaglio postnatale, durante la primitiva permanenza di circa 30 mesi nella condizione infantile di dipendenza vitale quasi assoluta dalla nutrice. In quel periodo sono avvenute cose terribili e stupefacenti di cui non conserviamo alcun vero ricordo né tracce di sensazioni sufficientemente congrue e sequenziali da poterne fare un racconto, ma l’osservazione rende certo che l’entrata in società (per Lacan nel Simbolico) del piccolo uomo o della piccola donna passa per passioni non esclusivamente collegabili ad istinti di sopravvivenza. Freud ricorse al plot dell’”Edipo Re” di Sofocle per raccontarne qualcosa, riferendosi a quello che poteva dedurre visitando lo strato finale di un luogo archeologico che non siamo in grado di scavare più in profondità ed avendovi intravisto movenze proto-erotiche nelle diverse fasi di acculturazione specificamente famigliare in cui il bambino esce dalla condizione natale di perdurante parassitismo psicofisico con la madre.
E’ un tempo, ordine di eventi, che ci manca, nel doppio senso che manca noi e manca a noi soggetti, mediato com’è nell’Altro materno più come saldo affettivo che come eventi, mentre di certo non è mancato nel “nostro”, tra virgolette, perché siamo noi di esso, Reale di pertinenza: potessimo conoscerlo, sarebbe il mitico “sapere assoluto”? Forse una cosa abbastanza triste perché, colmata la mancanza, verrebbe meno il desiderio. Eros non sarà il puttino arciere delle iconografie galanti, ma di sicuro non è un sapiente.
Secondo qualche vulgata freudiana la pratica psicanalitica si incaricherebbe di far ripercorrere a ritroso gli eventi emotivi che abbiamo vissuto in quel lasso di tempo e di riscriverli in sequenza per neutralizzarne qualche influenza sul prosieguo della nostra vita. Rivedere clinicamente qualche fatto morboso trascurato che continuerebbe a produrre dei sintomi.
Esercizio “cimiteriale”, direbbe Binswanger, mentre ciò cui si dovrebbe mirare è piuttosto un “siderale” e impersonale eterno ritorno nietzschiano per inserirvi il desiderio individuale in grado di inter-romperlo, in ordine a una valorizzazione della con-fusione affettiva residua da quell’inizio comune a noi tutti. Il nuovo, una nascita, non una rinascita.
Inoltre una delle diversità tra Freud e Lacan è che per il primo in analisi si capisce per poi di conseguenza cambiare, mentre per il secondo si cambia per poi di conseguenza capire.
La regola fondamentale della libera associazione, un’odissea del soggetto nel mare dei significanti in cui è rappresentato e si rappresenta, non deve essere un trastullo mentale da cui dovrebbe emergere chissà quale sensazionale ricordo invece del discorso libidico che deve attuarsi nel transfert. Non ho niente contro l’onanismo, ma una sua trasposizione intellettualistica in analisi è uno spreco di tempo e denaro. In analisi si entra per amore del futuro, della tyche, non di un passato da elaborare come sapere. Solo l’amore va in direzione opposta alla morte e a ogni altro annichilimento, non la vita in sé con tutte le elucubrazioni amletiche su di essa o, peggio, per sé stessa, con l’attaccamento narcisistico.
Se pensiamo a un’entrata e un’uscita collochiamo crono-logicamente quella prima di questa, cosicché noi entreremmo nella vita da vivere personalmente non si sa bene in che punto, forse nel fortuito e un po’ comico punto d’incontro dello spermatozoo con l’ovulo, per uscirne nel punto della morte. Non è affatto così. Nella nostra vita siamo usciti, non si sa in che punto, dal Reale “naturale” di cui non si sa niente, né che sia forma né che sia sostanza, ma sappiamo che ne rientreremo, mai del tutto e mai in un punto preciso tra la sincronia della struttura e la diacronia della scrittura, quella che “non cessa di scriversi” in noi come Storia. Non è un granché di sapere, e neanche c’è un Altro che ne sappia di più, ma sembra non curarsene ed è in ciò il suo fascino.
Fosse “del tutto e in un punto preciso”, si tratterebbe di quella “duplicazione della morte” di cui parla Lacan a proposito di Antigone e Sade nel Seminario VII° e riprendendo brevemente la faccenda nel XVII°.
I preti, tra battesimo ed estrema unzione, danno l’impressione di dominare l’argomento ponendo correttamente il simbolo accanto alla natura che rimane come puro sfondo sincronico della vita individuale, risolvendo a modo loro l’aporia del Tutto-vero o del Tutto-falso. Questa operazione di far posto allo spirito nella materia, più che a farlo prevalere sulla materia in toto, e ciò a condizione e nella contingenza della bene-dizione sacramentale, è di una arditezza che, stabilendo la coesistenza di due verità assolute, va oltre la logica che presiede alla dialettica.