Nelle intraprese umane è rara la congruenza di qualità tra i fini e i mezzi atti a conseguirli. Il medico per guarirci ci provoca dolore, con il ferro ristabilisce l’ordine della carne. I quadrimotori americani che costringevano i popoli (e me, nel luglio del ’44) a chiudersi nei rifugi antiaerei, si chiamavano liberators. Per l’etica non ci sarebbe al mondo adaequatio più raccomandabile di quella dei mezzi ai fini, nell’accezione per esempio di Errico Malatesta, ma tale congruità è destinata purtroppo a restare utopica, anche per la difficoltà di paragonarli secondo qualità o misurarli secondo quantità.
Su un piano puramente pratico, quantitativo, economico, si usa dire che una persona dimostra la sua maturità nel saper ridimensionare le sue mete rispetto i mezzi che si ritrova (darsi una calmata) o viceversa dimensionare i mezzi rispetto gli scopi (più difficile). È vero, ma non ha niente a che vedere con una congruenza etica e neanche con una ortodossia di giudizio. Semmai con una freudiana accettazione del principio di realtà. A questo e non ad altro si riduce il pomposo “problem solving” che, come panacea, ci propongono la psicologia cognitivista americana (ispirata un po’ a Piaget e un po’ al calcolo delle probabilità) e tutte le psicoterapie adattive che si ritraggono di fronte al problema del masochismo. Vogliono farci credere che la logica dell’azione sia la logica formale e basta.
Scrive un poeta a Volterra: “Chi sciacqua le lenzuola alla Docciola, convien che attinga l’acqua alla Mandringa…”. La fontana può ben essere vicina, ma l’acqua può non essere pulita. Non sempre il discernere fa decidere, ma ci sarà sempre qualcosina che infine farà muovere l’asino di Buridano. Si tratterà di una “retroazione socioculturale” (v. pag. 406)
Per quel che riguardi l’etica una bella norma morale resterebbe quella classica, tutt’altro che “buonista” o rassicurante, di agire da forti con i forti e da deboli con i deboli. Meglio della seconda formula dell’Imperativo Categorico kantiano.