La buona salute, dice Gadamer, non ci interpella, non ha voce, non si fa vedere e non è misurabile. La salute, o più in generale la condizione di benessere perdurante, nei rari momenti estatici in cui ci appare nel corso di una giornata, ci appare semmai prodigiosa, non senza un’ombra di quell’angoscia che è un attributo dei prodigi.
La malattia no, la sua eziologia, almeno nel comune immaginario è rimasta vetero-meccanica e imbrigliata in una reversibilità di cause ed effetti. Prosaica. Tecnica.
La buona salute è inane ed extra come ogni mistero, non mette in moto nulla per suo conto, non si fa causa di niente che non sia lo stacco della contemplazione al limite del senso. Ciò dovrebbe ricordarci che qualunque qualità, fenomeno o cosa appaia, essendo effetto di cause infinite, è in sé prodigiosa, ma ricordarci anche la verità meno poetica che siamo portati, almeno noi occidentali, a farci un’idea utile delle cose per via di negazione/esclusione: il mondo com’è è quello che potrebbe essere un altro molto migliore. Anche peggiore, naturalmente, ma sembra inutile soffermarcisi troppo: il desiderio umano insegue il fantasma del godimento al di là della salute, accada quel che accada.
Freud non concettualizzò il godimento come ciò che può travalicare la dialettica di piacere e dispiacere senza per forza dover fare riferimento al masochismo, una vera stranezza sconosciuta nel mondo animale. Rimase vero per lui il principio del bene fisiologico che non dovrebbe né potrebbe discostarsi dall’equilibrio omeostatico. Come tutti i positivisti della sua epoca, studiosi dell’essere umano, si ispirò alla metafora energetica fisiologica, ma si limitò a considerare solo i fenomeni di feed-back riequilibrante negativo, trascurando, forse per un suo connaturato pessimismo, quelli positivi (Walter Cannon, 1932) e che, in fondo, aprono all’idea del godimento come ciò che, per Lacan, travalica il “principio di piacere”.