68. IL VUOTO NEL CRATERE

 Durante un’intervista televisiva J. A. Miller chiese a Lacan di tradurre il termine “inconscio” articolandolo: Lacan esordì facendo notare che l’espressione al negativo si presta a che si possa attribuire al termine di tutto e di più.

 È evenemenziale, “c’è più quando che dove”. Non esiste finché al minimo non si rivela come leggera titubanza nel momento in cui si avverte lo scivolamento dalla parola vuota, cioè piena di tutto meno che di noi, alla parola piena di noi prima che di tutto. O viceversa.

 Di solito non ci si avverte parlare, è quando la parola non scorre fluida, che ci si accorge di parlare, nel momento dell’inibizione, quando sentiamo che non riusciremmo a camuffare appropriatamente “la parola che ci viene alla bocca”. Che altra spiegazione che l’ipotesi dell’inconscio, quando si avverte di essere parlati?

 Lacan dice che, anche in foro interiore, si parla sempre a qualcuno ricevendo il nostro stesso messaggio in forma invertita da un interlocutore elettivo quanto astratto, virtuale o fatto fantasma: questo appare evidente nella excusatio non petita o quando si vuole “rompere il silenzio”. Questo qualcuno, più che il proprio simile speculare, diventa per Lacan, nell’affinamento progressivo del suo insegnamento, l’Altro, un interlocutore paradossalmente universale ma anche interiore: il “terzo” che, nascosto, tanto nascosto che è legittimo (e giusto) dubitare della sua esistenza, assiste ogni dialogo più che ad ogni dialogo. Ma dice anche che “l’inconscio è il discorso dell’Altro”, perciò è comprensibile che si faccia sentire quando non stiamo al passo nel volgere il suggerimento nella forma soggettiva appropriata e il discorso non scorre di pari passo con quello di noi interpreti, come si vorrebbe per risparmiarci ogni faticoso controllo al livello della funzione soggettiva riflessiva che è propria dell’Io, per così dire, auto-ricevente. L’inconscio elabora equivoci, li crea e li scioglie.

 L’inconscio interviene prepotente nel dar luogo agli enigmi onirici, ai lapsus, alle dimenticanze, ai pensieri molesti che non vorremmo riconoscere come nostri. A qualche autosabotaggio nei nostri scopi e nelle azioni per raggiungerli.

 L’idea popolare dell’inconscio come di un magazzino disordinato di fatti mentali più o meno nascosti alla coscienza, idea che può presentarsi come rovescio del preconscio nella “prima topica” freudiana, non è l’idea di Lacan dell’inconscio che, al contrario, interverrebbe come tentativo di dare un qualche senso (simbolico, pertanto sintomatico…) a tutto ciò che, non bene articolabile in quanto scabroso nel giudizio cosciente, interviene di Immaginario o Reale al soggetto. Tal quale la funzione di un codice sintattico e letterale, di per sé vuoto di significati (forse, per una metafora biologica, come il filamento genomico di un virus che, privo del citoplasma, va a infettare una cellula che ce l’ha): sintassi di godimento per poter decidere sul senso tra la spinta libidica e disorientata della pulsione che manca, per fortuna, la presa sulla Cosa, ed il desiderio orientato verso ciò che manca, l’oggetto (a), punto di attrazione al centro di un vortice nel simbolico.

 L’inconscio oggi è eroico più che mai, ci dice Recalcati, nel destreggiarsi per mantenere al centro dell’Immaginario un vuoto in cui la vita del soggetto possa ancora esprimersi ed evolversi tra noi, mentre infuria quella che Žižek chiama “una epidemia dell’Immaginario”, della quale un sintomo morboso è proprio il ridursi della mancanza simbolica e pertanto del desiderio (di accedere all’Altro, senza di che il soggetto si chiuderebbe nel narcisismo del “self”, l’Io identitario americano, idealmente completo e conquistatore dell’Es freudiano come del West oltre la frontiera)

 La nostra più comune patologia è di scambiare la mancanza per privazione, ma bisogna pur dire che si tratta di un errore dell’Io, non del soggetto che, proprio in virtù della mancanza simbolica, cui corrisponde una certa evanescenza dei significati, si struttura nei significanti, prendendo posizione relativa in essi come esistenza. A esser chiari, esistenza entro due vacuità: (a)<> A. (v. 20. TEORIA, pag. 70). Ulteriore nota tecnica: gli psicotici e i perversi si ingegnano per riempirle di godimento e ci riescono, i nevrotici lo desiderano solamente.

 Invece il magazzino caotico è un’immagine che si presta bene per dare qualche consistenza metaforica all’Es della seconda topica freudiana, un territorio in cui trovi nutrimento l’attività mentale, Io e inconscio compreso. Nella descrizione che ne fa Freud si ritrovano accenti con cui qualcuno potrebbe tentare di definire anche il Reale lacaniano: “E’ di carattere negativo e può essere descritto solo come contrasto…lo chiamiamo un caos, un calderone pieno di ribollenti eccitazioni. Supponiamo che in qualche luogo sia in contatto con processi somatici, che rilevi da questi i bisogni istintuali e che dia a essi espressione mentale, ma non possiamo dire in quale sostrato questo avvenga”.

 No, non possiamo dirlo fintanto che non si assuma in una qualsiasi topologia psichica l’Immaginario essenzialmente come rappresentatività corporea. È questo che rende inarrivabilmente realistica la topologia del nodo borromeo lacaniano.

 Nei tarocchi psicanalitici spicca per debolezza teorica e pratica il concetto di pre-conscio che ormai potrebbe anche fare da segnale per individuare le posizioni più stantie nella teoria psicanalitica: si tratta, per tornare alla metafora iniziale, di un magazzino di fatti mentali più o meno nascosti alla coscienza (non si può pensare tutto contemporaneamente, no?…) nel quale si è fatto un po’ d’ordine per renderlo presentabile al cospetto dell’Io. Tracce mnestiche, stando a Freud, non meglio definibili. Non mancano prefissi per la parola “conscio” che riferiscano modestamente dei difetti del nostro sistema mnemonico e la debolezza del sistema sequenziale delle nostre rappresentazioni in grado di trattare fino 5 o 6 items per volta…: oltre, deve raggrupparli in qualche modo. Categorie, sembianti di sembianti affinché i discorsi possano procedere.

Lascia un commento