È un concetto che nella dottrina psicanalitica è rimasto in gran parte inesplicato. Dire che è un portato psichico e timico della pulsione, come la corrente elettrica lo sarebbe della tensione è una metafora un po’ tautologica perché resta il problema di cosa la farebbe uscire dallo stato di energia potenziale.
Allora, provvisoriamente, passando dal lessico freudiano, per il quale può dirigersi verso l’Io o verso l’oggetto erotico, a quello lacaniano, rimane in strettissima relazione sia con il godimento che con il desiderio a seconda che la nozione pencoli rispettivamente verso la Cosa della pulsione, cioè verso il Reale, oppure verso il Simbolico e l’Immaginario.
È ragionevole definirla come l’organo che trasferisce la spinta della pulsione al desiderio. Cioè, dalla Cosa all’oggetto mancante ovvero al significato, implicando perciò il significante tanto da non potersi esaurire in una precisa bramosia. Lo stesso Lacan per renderne ragione è costretto ad immaginare la mitica “lamella”, un organo del Bios (qualunque cosa sia), così sottile che la morte non riesce a ghermirlo. Superficie di separazione, più sottile della mucosa labiale che gode del ciuccio e farà spazio alla parola. Tanto evanescente da poter passare non solo dalla filogenesi all’ontogenesi nell’intervallo tra messaggio genetico e lavoro ormonale ma da poter passare da un corpo in un altro come può farlo solo la parola o un’infezione, per esempio tra i corpi di due amanti, ma anche tra il corpo del bambino e della madre.
Il massimo di significanza che se ne può trarre di là dell’immaginifico è anche troppo freudiano ortodosso: una virtuale misura di gradiente tra la quota di investimento volto a neutralizzare gli stimoli e la quota di investimento volto ad assecondare la pulsione (per Lacan un portato del Reale ovvero una nostalgia della Cosa) e il desiderio inconscio (per Freud più direttamente erotico che per Lacan che lo fa defluire in metonimia). Resta una misura virtuale del debito d’amore contratto con la pulsione che pagheremmo al desiderio enigmatico della nutrice (inconscio della madre), misura destinata a restare una vaga ipotesi esplicativa anche di qualcosa che appare serpeggiare nel transfert tra positivo e negativo, un “Alien” che spetta all’analista tener vivo presso di sé, fatto, per citare il film di Buñuel, “cet obscure objet du désir”.
La stessa cosa che appare serpeggiare nella relazione madre/ bambino nei tentativi di far tradurre la lettera della lallazione in significanti. Per il bambino una faticaccia a rischio di tragedia, tra godimenti e frustrazioni, attaccamenti e rifiuti, alienazioni amorose e separazioni rabbiose: faccende veramente da dimenticare! Infatti, le abbiamo dimenticate, ma così come dimentichiamo la maggior parte dei nostri sogni senza affatto eliminare la loro ragione d’essere.
Non c’è ragione perché ci sia la libido nel mondo animale in cui non c’è l’incompletezza, né il desiderio: per questo bisogna tradurre dal tedesco di Freud il termine Trieb sempre “pulsione” e non “istinto”.
Freud, forse ancorato ai primi studi di endocrinologia, confina la libido nella mascolinità, equivocando tra quantità, dimensione spazio-temporale dell’eccitazione sessuale e dell’organo erettile, pene e clitoride, e qualità del soddisfacimento. Salvaguarda lo spazio simbolico per il mito, che intrigherà anche Lacan, di un orgasmo “vaginale”. Che tuttavia non esiste fisicamente.
Se la pulsione è nostalgia della Cosa, la libido lo è dell’oggetto, va a rovistare tra gli oggetti alla ricerca di quella. È l’Eros, ciò che si oppone al paradigma filosofico immunitario secondo il quale tutto ciò che ci appare altro non è che una difesa contro ciò che potrebbe apparire. La libido mantiene stretti rapporti con la morte: essendone il rovescio filogenetico e disconosciuto, è anche l’organo specificamente “umano” adatto a trattarla, non per niente il mio concittadino Edoardo Weiss ebbe ad inventare il termine “destrudo” per indicare che la libido, tensione della corda nell’arco di Eros, è allo stesso tempo al servizio di Thanatos. Il fatto è che abbiamo qualche difficoltà a considerare sullo stesso piano concettuale (del senso) la nostra vita individuale e quella della specie.