Qualche volta non è solo la pigrizia ma soprattutto un difetto di onestà che previene uno psichiatra dall’intraprendere la via che lo porterebbe a trasformarsi in uno psicanalista. Non serve spiegare il perché e il per come.
È però anche vero che uno psichiatra che diventa psicanalista difficilmente smetterà il ricordo del camice e con esso l’interesse onorevole per la clinica delle psicosi.
Forse sarebbe altrettanto onorevole da parte degli psicanalisti ammettere decisamente che la cura delle psicosi, data l’introversione libidica, debba rassegnarsi a mettere fuori campo il transfert e pertanto diventare altro della psicanalisi pur senza dismetterne la dottrina. “Farne a meno a condizione di servirsene”, per far riemergere, oltre e dietro l’oggetto, la Cosa della parola “forclusa” a disdoro dell’Altro. Quel “troppo” di Reale di cui eventualmente ridurre la portata, che invece nel caso della nevrosi è un “troppo poco” da supplire nel transfert.
A quale “saperci fare” ricorreranno per far accettare al paranoico l’insopportabile fuori-senso sessuale e allo schizofrenico l’insopportabile senso? Sotto questo riguardo, a quali mosse di judo per potersi avvalere utilmente della pretesa paranoica che ciascuna parola abbia un suo e uno solo significato, oppure della pretesa dello schizofrenico di godere di ciascuna parola presa e intesa a sé stante, fuori contesto e struttura sintattica?
Il transfert facilita nel set (il divano) il ripescaggio di Immaginario e Simbolico (il sembiante) per reindirizzarli al Reale (sessuale), ma da quale riva ripescheremo il Reale e l’Immaginario (il delirio)? Psichiatri e psicanalisti possono convenire sul fatto che non è affatto impossibile provocare persino in uno psicotico grave, con qualche artificio, la “domanda” sottintesa in ogni transfert … Ma poi? Di quali artifici disporranno per spogliarsi della suggestione e trasferire all’Altro la domanda rivolta a loro che l’hanno provocata dalla posizione di fantasma speculare?