Un intellettuale, cioè colui o colei che legittimamente diffida dei significati (ovvero degli oggetti), desidera, come tutti, farsi un’idea delle cose anche non direttamente pratica, e renderne disponibile una mappa per meglio orientarsi nel puro desiderio di goderne potendole scegliere.
La mappa c’è, imprecisa, abbozzata, ma condivisibile, seppure non condominiale. È il linguaggio.
È altro che orientarsi per sopravvivere, non si tratta di un Umwelt già accuratamente disegnato come Gestalten dai bisogni in un Innenwelt e viceversa, è l’avventuroso ri-disegno del senso in un caos che beffa continuamente ciò che resta dell’orientamento istintuale, in quella precarietà delle cose del sesso che appaiono in una complementarità troppo conclamata per non essere sempre deludente. Incompletezza del mondo, territorio senza confini che fa sognare godimenti sconosciuti, ma anche impossibilità di immunizzarsi dal desiderio destabilizzante (per Freud dalla pulsione) in una sfera asettica in quanto afasica.
Il desiderio immagina cose ma le cose immaginate, nella illusoria pretesa che esse siano i significati “adeguati” delle parole, o sfuggono alla presa o tradiscono la promessa di godimento, bisognerebbe rincorrerle in una mappa su scala 1:1 rispetto il mondo, come quella famosa di Borges. È la mappa che immaginiamo di percorrere nelle nostre pratiche “perverse”, ma che spesso anche gli psicotici immaginano di percorrere con ben maggiori dannosità: un mondo adeguato (a chi? A cosa?).
A questo punto un intellettuale non si rassegna del tutto, come d’altronde nessuno, alla castrazione simbolica, l’avvenuta scelta sacrificale che ci ha fatto rinunciare alle cose, le ha annichilite gettando noi e il nostro desiderio tra le parole, ma non osa procedere “alla cieca” come un Giasone senza filo d’Arianna, oppure come Jorgen Jorgensen o Salvatore Čipiko nel romanzo di Magris.
Astutissimo, ricorre all’escamotage che gli consenta di cedere (in favore dell’oggetto/feticcio, è normale…) e nel contempo di non cedere sul desiderio e di accettare la castrazione simbolica sì, ma pretty soft, con qualche lenimento.
Il suo particolare remedium? Se le cose gli sfuggono lui sfugge alle cose e trasforma il suo desiderio nel desiderio di farsi un’idea delle parole per poterle cavalcare.
L’intellettuale, come tutti, deve accettare di tribolare per orientarsi tra le Vorstellungrepräsentanzen, ma di questa tribolazione del senso fa professione e riesce pure a goderne. Talvolta smodatamente.
Tutti provano piacere nel comunicare, sempre che la comunicazione non trovi intoppi esterni o interni, in emissione e ricezione, ma altro è il piacere della parola ben azzeccata, scelta nel novero in maniera che suoni bene, cioè che risuoni, in attesa che l’effetto, l’efficacia, premi tangibilmente un ruolo sociale al punto di ribaltare il famoso aforisma di Benjamin Franklin: “Well done is better than well said”.