È stato un peccato per il pensiero della scienza in generale che il caro barone Uexküll non conoscesse, causa cronologia, il pensiero di De Saussure. Avrebbe diffidato un po’ più di metafore etologiche belle ma fuori contesto per ogni possibile significato della vita umana. Lo stesso si può dire per Freud; avesse saputo quanto l’essere umano sia sostanzialmente effetto di ”informazione”, qualcosa che non è né materia né energia, avrebbe diffidato un po’ di più di metafore tratte dalla meccanica o dalla termodinamica: ha potuto aggiustarle provvisoriamente Lacan.
Ma è imperdonabile che, potendolo fare, un Peter Sloterdjik non sappia o non voglia tenere nel giusto conto, mentre procede a formulare la sua metafora immunitaria assoluta, Uexküll, Freud, De Saussure, Levi-Strauss e infine Lacan. Ecco allora che un antiaccademico come lui, si allinea con lo scandaloso ostracismo dell’opera di Lacan, saccheggiata ma quasi mai citata in bibliografia, da parte degli universitari: temono forse che tolga loro la terra sotto ai piedi nel penoso cammino tra l’imposizione di “pubblicare” ed il filtro del peer review delle riviste (un filtro in ciò curiosamente altrettanto disonesto)?
Attuato il decentramento del Soggetto con la benedizione di Lyotard, resta l’obiezione: a quale funzione difensiva farebbe velo il mito di Eros? Senza rendersene conto, fa partire il suo pensiero da Vernadskij e da Teilhard de Chardin, pensatori dal pensiero conchiuso che pensa di saldare ogni debito con la biologia, in cui un simbolico rapporto sessuale è già avvenuto una volta per sempre, con il rischio di rimanere invischiato nella giustificazione sistematica e pertanto artificiosa di una dottrina celibe o vedova destinata a rimanere politicamente inerte malgrado le grandi pretese. La solita grande erudizione che merita miglior causa? Dopo aver letto tre tomi monumentali resta il sospetto che né l’essere umano, nel proprio bene e nel proprio male sempre appassionato, né il suo parassita, il linguaggio, siano attrezzati per l’immunizzazione da alcunché, avendo a che fare con sfere buche, bucatissime. Perfino nella pratica della vaccinazione si può vedere la metafora di una necessaria e augurabile permeabilità delle difese umane. Ma a una logica immunitaria non sfuggono anche le autoimmunizzazioni patologiche?
Perché ci sia l’essere deve esserci l’evento causa della rappresentazione nel luogo del suo oblio, talché l’evento, il tempo, il Reale, è più cercato che temuto. Cos’è, si vuole abrogare l’essere? Si vuole abrogare il godimento? O Eros, in favore allora del dio Thanatos?
Ci vuole l’onestà scientifica di Freud per accettare che un paradigma smetta in larga misura la sua funzione ordinatrice di conoscenza (prima topica…) appena si incontri un’anomalia insormontabile, nel suo caso il problema del masochismo. Che, diciamolo chiaramente, non c’è nel mondo animale, fino a prova contraria.
La metafora della condizione umana in divenire come di una strategia immunitaria di principio, fondante, può essere giustificata solo per un caso, il crearsi del linguaggio come esorcismo della natura traumatica sessuale e improbabile ricovero da essa. Eccoci però ai fondamenti, proprio là dove il Grund è Abgrund tanto che nessuno può dire se si è entrati nel linguaggio (simbolico), struttura viva perché aperta e aperta perché viva, per forza o per amore, per bisogno o per desiderio, anche se non sappiamo bene su cosa è aperta.
Niente a che vedere con un’idea darwiniana di linguaggio (segnico) che, esso sì, potrebbe essere annoverato come una di tante immunizzazioni pratico-istintuali antecedenti quel linguaggio Simbolico che è la condizione dell’inconscio ovvero della faccenda che, insieme con il godimento e l’angoscia, è tra le meno immunitarie che ci siano e si possano immaginare. Per esse dobbiamo ipotizzare l’esistenza di cause che, del Reale e del Simbolico buchino il nostro monadico Umwelt. Facendolo allo stesso tempo più misero e più grande, parafrasando Pascal, di quello di ogni animale povero di mondo, weltarm, per come si espresse Heidegger.