Devo a Recalcati la citazione della risposta che Lacan diede a un intervistatore italiano che gli chiedeva un’opinione sul famoso libro “L’anti Edipo” di Deleuze e Guattari: “L’Edipo per sé stesso costituisce per me un tale problema che penso di poter avere scarso interesse per ciò che viene intitolato Anti Edipo”.
Si può ben comprendere il suo assillo teorico (di cui fa segno anche l’aver affrontato e avere lasciato perdere rapidamente “Totem e tabù” non senza averne moderato l’eccessivo mitologismo affrontando “Mosè e il monoteismo”) perché, se si rinunciasse del tutto a quella che oggi, è vero, appare una carta debole tra i tarocchi psicoanalitici in relazione all’indebolimento del Nome del Padre come fattore simbolico di senso (resta il Fallo), ci si ritrarrebbe dal tentativo di rendere una ragione del linguaggio in quanto simbolico, modo nostro di essere, mondo in cui l’inconscio può dettare legge dopo aver dettato quella Legge la cui origine, secondo Freud, viene da una impossibilità e un interdetto (paterno), pertanto dall’aggiramento di un trauma coinvolto nella sessualità, lo si voglia o meno.
Però, se si procedesse con troppa baldanza verso tutti i reconditi significati del mito tragico, da esperire non solo nell’individuo ma anche nella specie, si arriverebbe dritti a un discorso delle origini che la logica moderna di Gödel e Tarski previene dall’intraprendere, che la saggezza popolare condanna alla pseudo aporia filogenetica dell’uovo e della gallina e che, infine, l’Accademia Francese delle Scienze bandisce come argomento teorico non ammissibile nei suoi ranghi.
I discorsi delle origini si trovano spesso stretti tra teorie paranoidi e mito, questo secondo però sicuramente preferibile perché può essere trattato come tale in ogni caso senza che qualcuno si arrabbi.